Esiste un legame logico necessario tra violenza ed estrema destra?

Articolo di Viola Bertoletti

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La correlazione tra l’estrema destra e l’uso della violenza esiste ed è una condizione necessaria di questa ideologia.

Si intende con l’espressione “estrema destra” un movimento politico radicale

che si basa sull’interpretazione massimalista di un’ideologia che trova le sue radici nelle idee e nel materiale concettuale politico tipicamente sostenuto dalla destra. Come tutti i moti politici, l’estrema destra ha alle spalle un percorso complesso e in costante evoluzione, che vede i suoi sostenitori impegnarsi in lotte e proporsi obiettivi diversi a seconda dell’epoca a cui appartengono. 

A cavallo tra ‘700 e ‘800 i seguaci di questo movimento potevano essere identificati nei fautori dell’assolutismo monarchico. In epoche più recenti, tra ‘800 e ‘900, con il progressivo dissolversi degli ideali a sostegno della monarchia, al termine “estrema destra” si sono associate posizioni e atteggiamenti politici quali l’ultra-conservatorismo, un forte nazionalismo, il militarismo e il razzismo. Negli anni ’20 – ’30 del XX secolo il panorama storico-politico cambia con il progressivo affermarsi in Europa di regimi totalitari; si assiste così a un’identificazione pressoché totale del movimento dell’estrema destra nella concezione politica propugnata da Mussolini, per quanto riguarda l’Italia, e a seguire in quella nazista di Hitler in Germania. 

Tutte queste esperienze politiche conservano però come denominatore comune alcuni principi cardine dell’estrema destra:

primo tra tutti l’autoritarismo. L’estrema destra infatti vede come un presupposto necessario il confluire di tutti i poteri in un’unica, imponente figura. Il termine “dittatore”, dal latino “dictator”, significa “colui che dice, colui che ordina”, un motto popolare era infatti “il Duce ha sempre ragione”. Non stupisce inoltre che la politica fascista  sia stata infarcita di una propaganda basata su (tutt’altro che kantiani) imperativi come il celebre “Vincere o morire”, su categorici “devi” giustificati dalla presenza di presunte “necessità”, su ordini tassativi che da una parte non ammettono repliche, e dall’altra prevedono una strategia punitiva come conseguenza di un’eventuale disobbedienza.

L’idea del dominio risulta quindi essere alla base dell’ideologia fascista e pertanto anche una caratteristica fondamentale dell’estrema destra. Ne forniscono una prova concreta le aspirazioni colonialiste di cui Mussolini durante il ventennio rese oggetto Etiopia, Libia, Somalia ed Eritrea. 

L’idea della proprietà, emblematico concetto politico sostenuto dalla destra, si traduce in possesso e si distorce nei dettami dell’imperialismo: nella sete di conquista. La conquista comporta però un’imposizione sull’avversario e sottintende il concetto di prevaricazione. In tutto questo è implicita eppure allo stesso tempo evidente l’idea su cui l’estrema destra si basa, ovvero la violenza. 

Del resto Mussolini stesso conquistò il potere con la forza, con la famosa Marcia su Roma del 1922.

Nel discorso alla camera dei deputati di Giacomo Matteotti del 31 gennaio 1921, la parola “violenza” compare moltissime volte. È proprio la violenza efferata e sistematica della quale si serve il sempre più potente partito fascista a destare il timore del segretario del Partito Socialista; esso si rivelò fondato quando per aver condannato aspramente il regime egli fu assassinato il 10 giugno 1924 da almeno cinque sicari fascisti.

Un’altra eloquente dimostrazione di quanto e in quale misura la violenza sia alla base dell’ideologia del fascismo trova una sua giustificazione nel principio di “guerra permanente”, che Mussolini esaltava con magniloquenza con frasi come “Marciare per non marcire”. Per il fascismo, come disse Umberto Eco, non c’è quindi lotta per la vita ma piuttosto “vita per la lotta”, e come si può lottare e sconfiggere il nemico se non con la violenza?

Il mondo in bianco e nero ha lasciato spazio da molto tempo al mondo a colori, ma la stessa violenza che vestì l’Italia con la camicia nera sopravvive.

Rimane nelle crepe e nelle incrinature di una società che cambia senza essere disposta a cambiare davvero, rimane come voce in sordina di istinti e pulsioni inespresse e si perpetua; i suoi scuri tentacoli abbracciano forme, modi diversi, mutano i volti e le voci che la predicano ma si conserva nei suoi rinnovati esponenti. Il suo pericoloso messaggio rimane come eredità nel linguaggio; ne presentano i sintomi gli slogan gridati a gran voce durante i comizi di alcuni suoi rappresentanti, come il popolarissimo “Prima gli italiani!”, espressione che presenta un implicito senso di prevaricazione – giustificato da apparati concettuali diversi e spesso malcelati, tra cui il razzismo –.

Umberto Eco nel “Fascismo eterno” scrive: “Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane”. Poiché in questo modo sarebbe facile riconoscere il fascismo e smascherarlo.

Salta all’occhio in ogni caso la ripresa del leader leghista Matteo Salvini di alcuni detti tipici

e la loro pubblicazione sui social come commenti di selfie sorridenti, come ad esempio “Tanti nemici, tanto onore”, in linea del resto con il suo programma politico che pone le sue basi nell’identificazione di un nemico, nella conseguente caccia, anzi cacciata degli intrusi e nel rifiuto del “diverso”.

Cavalcano la stessa onda i leader politici dell’estrema destra di altri paesi, come il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che da una parte, in occasione delle manifestazioni antirazziste per la morte di George Floyd, ha continuato a ribadire la sua politica “law and order” minacciando persino di inviare l’esercito contro i manifestanti, dall’altra si ostina a non schierarsi apertamente contro gli atti violenti dei suprematisti bianchi.

Le violenze razziali che non hanno mai smesso di verificarsi negli Stati Uniti denunciano autonomamente la propria provenienza da una matrice di ideologia suprematista. Il Ku Klux Klan, l’associazione segreta di estrema destra operante con strategie politiche e terroristiche para-militari a partire dal 1800 negli USA è considerabile tradizionale iniziatrice delle aggressioni contro i neri, gli immigrati e gli omosessuali, tuttora spesso perpetrate da gruppi di estrema destra come i “Proud Boys”.

Di stampo neo-fascista e neo-nazista sono le organizzazioni di estrema destra i cui incidenti violenti sono sempre più frequenti in tutta Europa.

La Süddeutsche Zeitung, uno dei più importanti quotidiani tedeschi, constata che negli ultimi anni il numero di arresti legati al terrorismo di estrema destra è più che triplicato. Risulta essere un dato inquietante anche l’attestato crescente interesse dei gruppi organizzati nei confronti di come fabbricare armi ed esplosivi. In particolare l’Europol cita gli “Hammerskins”, i “Blood & Honour” e i “Combat 18”. 

Un fenomeno politico che fonda le sue premesse in un’ideologia che per sua propria natura si fa promotrice di tendenze che prevedono il dispotismo e di atteggiamenti che rivelano intolleranza per tutto ciò che è “altro” da loro, non possono che ammettere e sostenere l’uso della violenza; così essa battezza con la sua impronta brutale l’esistenza stessa di ogni movimento o gruppo politico che nasca con un orientamento di estrema destra.


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