Contro-articolo di Lorenzo Mottinelli
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L’estrema destra è senza dubbio una promotrice di discriminazione, ma siamo sicuri che esista un legame logico-necessario unicamente tra violenza ed estrema destra?
Di recente, purtroppo, siamo tutti stati spettatori di una serie di episodi di violenza
che hanno visto coinvolti, da una parte, aggressori simpatizzanti di estrema destra, e dall’altra vittime inermi e innocenti. Ricordiamo ad esempio l’omicidio da parte di un agente di polizia dell’afroamericano George Floyd in America, ma anche in Italia il povero Willy picchiato a morte dai due fratelli Bianchi.
È noto che l’estrema destra nutra un’idea di violenza connaturata alla sua ideologia. Ciò accade perché, a differenza di altri estremismi, come ad esempio quello di sinistra, l’estrema destra coltiva una visione di disuguaglianza tra gli esseri umani, che è riassumibile con il termine di razzismo, il quale per definizione individua una categoria di persone, una “razza”, che viene ritenuta inferiore a un’altra per motivi puramente di forma, come il colore della pelle piuttosto che il luogo di provenienza.
Ora, per evitare qualunque fraintendimento, è doveroso premettere che i casi appena citati sono esempi di violenza fisica ingiustificata contro persone innocenti, e in quanto tali è giusto che vengano puniti: senza alcun dubbio vi è un’innegabile responsabilità delle visioni ideologiche degli aggressori nel risvolto delle vicende, tuttavia, affermare la presenza di un legame logico-necessario tra la violenza e l’estrema destra basandosi solo su questi elementi, risulterebbe un’ipotesi affrettata.
Va riconosciuto che un’affermazione di questo calibro possa indisporre e infastidire molte persone,
ma per spiegarne chiaramente le motivazioni è necessario partire da una definizione a priori dell’atto violento.
L’atto violento, si tratti di violenza fisica, verbale o psicologica, è un’azione estrema di risoluzione di un conflitto tra due parti in causa. Tale azione non contempla il confronto, il dialogo civile fondato su criteri oggettivi e sul rispetto reciproco, e il compromesso come mezzi di avvicinamento e conciliazione, ma, al contrario, soffoca ogni possibilità di giungere a un accordo che consenta a entrambe le parti di continuare a vivere liberamente.
L’assenza di rispetto e di riconoscimento verso posizioni differenti dalle proprie è tipica di posizioni rigide e chiuse come gli estremismi ideologici, i quali, incapaci di apprezzare e tollerare le differenze, difendono la loro posizione sfociando facilmente e pericolosamente nel sopruso, nella sopraffazione e nell’aggressione verbale, fisica e psicologica dell’altro.
In questo senso l’azione violenta è assimilabile al concetto di estremismo, indipendentemente dalle sue colorazioni politiche.
Occorre quindi distanziarsi dai singoli eventi e prendere in considerazione una visione più ampia del tema, comprendendo che la violenza può risiedere in qualsiasi tipo di estremismo, non solo in quello della destra politica.
La memoria storica ci rende consapevoli del fatto che non solo l’estrema destra commette o ha commesso azioni di violenza brutale, ma anche, ad esempio, l’estrema sinistra e l’estremismo religioso hanno dato prova della loro poca umanità.
Il 13 marzo 1975 Sergio Ramelli, studente militante del Fronte della Gioventù, fu brutalmente aggredito in zona Città Studi a Milano da esponenti di Avanguardia operaia, un gruppo extraparlamentare di estrema sinistra. Egli morì a causa dei traumi riportati al cranio quasi un mese più tardi, il 29 aprile. Il giorno prima della sua morte un gruppo di ragazzi si staccò da un corteo della sinistra a cui stava partecipando e si recò presso la casa della famiglia Ramelli. Una volta arrivati imbrattarono i muri con delle scritte e appesero un manifesto in cui si minacciava il fratello Luigi Ramelli di morte, se non fosse sparito entro 48 ore.
Questo rappresenta un caso esemplare di violenza commessa da un estremismo politico non di destra,
in primo luogo perché Ramelli fu ucciso unicamente per la sua differente visione ideologica, e in secondo luogo perché l’episodio innescò una serie di ulteriori violenze concatenate e giustificate esclusivamente dalla legge dell’ “occhio per occhio, dente per dente”.
Infatti il 16 aprile un gruppo di estremisti di sinistra assalì tre giovani del FUAN che stavano volantinando, e Antonio Braggion, di Avanguardia Nazionale, rifugiatosi nella sua auto, sparò contro gli aggressori e uccise lo studente di sinistra Claudio Varalli.
Citando un altro esempio, il 18 ottobre 2020, in Francia, un professore di storia e geografia è stato decapitato. Le ragioni dell’omicidio sono riconducibili a una lezione di educazione civica in cui il professore aveva mostrato, in merito a una discussione sulla libertà di espressione, alcune caricature di Maometto di Charlie Hebdo. Un efferato delitto che ha evidentemente dell’assurdo.
La correlazione tra violenza ed estremismo ideologico è sintetizzata in modo chiaro e semplice in una frase di Indro Montanelli: “La professionalità dell’estremismo, e del sangue, ha per costante l’ansia di uccidere, e per accessorio casuale l’ideologia cui applicarla.”.
Per trascorrere una vita di comunità pacifica che rispetti e valorizzi le differenze e tuteli la libertà degli individui,
è quindi necessario impegnarsi per evitare qualsiasi posizione estremista. Come insegnano gli Antichi, e ogni tradizione spirituale, in medio stat virtus.
Ai nostri giorni Marshall B. Rosenberg ha studiato approfonditamente i meccanismi e le dinamiche della comunicazione violenta e non violenta, evidenziando che: “Ogni tipo di violenza è il risultato del fatto che le persone inducono se stesse a credere che il loro dolore deriva dagli altri e che, di conseguenza, essi meritano di essere puniti.”.
Anche nell’ambito dell’arte negoziale Roger Fisher, William Ury e Bruce Patton, alcuni tra i più importanti studiosi al mondo, criticano il negoziato di posizione, in quanto non produce risultati utili al raggiungimento di un accordo soddisfacente per entrambe le parti, e, anzi, rischia di attaccare le persone e compromettere le relazioni. Essi promuovono invece il negoziato di princìpi, che esamina apertamente e senza pregiudizi ogni possibile soluzione, perché “una mente aperta non è una mente vuota.”
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