Covid-19: la guerra degli eroi?

Articolo di Viola Bertoletti

La metafora bellica applicata all’emergenza sanitaria del Covid-19 è sempre sulla bocca di tutti, ma ha davvero senso esasperare un simile abbinamento? E gli eroi? Ci sono eroi nell’emergenza sanitaria come in guerra?

Se si leggono i fatti di cronaca e si ascoltano i notiziari in tv e alla radio, sembra di trovarci in quei tempi che per l’Occidente si perdono ormai tra le pagine ingiallite della storia, che erano appunto i tempi della guerra. 

Un medico di Bergamo, a questo proposito afferma in un’intervista al Corriere della sera: “Dobbiamo scegliere chi curare e chi no, è come per la chirurgia di guerra. Si cerca di salvare la pelle solo a chi ce la può fare”. Egli spiega infatti che l’emergenza Coronavirus negli ospedali lombardi sta ormai ponendo molti medici davanti a drammatiche scelte su chi salvare: “Si decide per età, e per condizioni di salute. Come in tutte le situazioni di guerra”. I bianchi corridoi degli ospedali sono le nuove trincee, le sale operatorie, i campi di battaglia, il virus, il grande nemico comune e, in primo luogo coloro che la Protezione Civile quotidianamente menziona nel bollettino (come si usava in tempo di guerra) che riassume il numero dei contagiati e morti, le vittime, che alla fine, siamo un po’ tutti.

Un altro motivo per cui è facile accomunare le due situazioni, riguarda una precisa connotazione, vale a dire il tratto “irrealistico” che caratterizza entrambe. Questa accezione la riconosce anche Camus, il quale nel suo romanzo, in riferimento alla peste, scrive: “C’era nella sciagura una parte di astratto e di irreale.” O ancora: “iniziò così la tetra lotta tra la felicità di ogni uomo e l’astratto della peste”. Il pericolo che non ha scadenza, che si abbatte come una catastrofe naturale sulla fragile vita dell’uomo, pone dunque inevitabilmente l’essere umano in una condizione di emergenza, di allarme e di più o meno razionale paura.

Nella tradizione tedesca il Pifferaio magico si portò via i bambini di Hemelin per non essere stato pagato dopo aver liberato la cittadina dei ratti e dalla peste. In questo modo i cittadini pagarono la loro avidità. Era il 1284 e la piaga che affliggeva il paese al tempo era l’“Yersinia pestis”. Oggi il “Pifferaio” vendicatore è il corona virus, che, sovvertendo la nostra quotidianità nel profondo, ci fa pagare con la morte dei nostri cari e la paura, il peso di nostre ancora non definite, presunte colpe.

In un contesto in cui siamo costretti a rintanarci nella scomoda dimensione della nostra individualità, per non dire solitudine, siamo tutti ben disposti a chiamare eroi i medici e tutti coloro che stanno offrendo come volontari il loro contributo al benessere della società. Senza alcuna intenzione di sminuire l’impegno e l’altruismo di queste persone, sostengo che non sia una questione di eroismo, e questo ce lo ricorda ancora una volta l’autore de “La Peste”, in cui, nella veste del medico Rieux, egli scrive: “Non si tratta di eroismo, si tratta di onestà. È un’idea che può far ridere, ma la sola maniera di lottare contro la peste è l’onestà.”, e ancora: “Per questo non c’è che un solo mezzo: combattere la peste. Questa verità non era ammirevole, non era che logica.” 

Dovremmo invece cogliere nei medici e nei volontari una sorta di energia vitale, una “passione di vivere” che cresce in seno alle grandi sciagure e che inoltre appartiene ad ognuno di noi, in quanto uomini. Attraverso la cura per la vita dell’altro possiamo riconoscerci empaticamente in essa e questo alimenta la nostra forza vitale. Guardando queste persone autenticamente, nella loro umanità possiamo stimolare e percepire la nostra.

Quella che stiamo vivendo è una guerra senza eroi, ma è una guerra. 

È una lotta per la sopravvivenza che l’hobbesiano senso di conservazione ci muove a intraprendere, con tutti gli sforzi, le fatiche, e talvolta anche i fallimenti che questo comporta. La solidarietà rimane l’unica risposta possibile per ritrovarci insieme alla fine di tutto questo e dobbiamo fare tesoro di quella che molti di noi stanno dimostrando perché è su questa ricchezza che dovremo costruire il nostro futuro.

Inoltre, come già affermato precedentemente, il virus è qualcosa che coinvolge tutti poiché in diverse forme, più o meno concretamente, tutti ne siamo affetti, e contro la malattia dell’anima non esiste alcun vaccino, se non la nostra volontà, la nostra capacità di “combattere”, inteso come resistere e sapere amare.


Il giorno 5 maggio 2020 verrà pubblicato il contro-articolo a cura di Lorenzo Mottinelli.