Recensione di Jacopo Stefani
Nuova domenica, nuovo articolo, secondo episodio di Hoops ‘N
Bars: non starò ad annoiarvi facendovi percorrere di nuovo il filo
ideologico che collega musica HH e palla a spicchi, che ho trattato
nella prima parte, quindi lascio voi lettori direttamente a 5 nuove barre che raccontano storie dal mondo NBA.

1. “7-7-3, oh, since Kanye was a three-old / Down the street from D.Rose,was practicing his free-throws”
Chance the Rapper, “Hey Ma”

Se vi capitasse di andare in giro per le non sicurissime strade
di Chicago e chiedere alla gente appostata nei pressi dello
United Center, lo storico palazzetto del basket cittadino, chi
siano i due cestiti più dominanti mai passati dalla Wind City,
ricevereste, nel 90% dei casi, due nomi in rapida
successione: il primo sarà necessariamente Sua Altezza
Aerea Michael Jordan, ma state pur certi che il secondo non
si discosterà molto da Derrick Rose.
Playmaker dal talento e dall’atletismo sopraffini, prima scelta assoluta al Draft (evento annuale dove le squadre scelgono i giovani giocatori
da aggiungere al roster, ndr) del 2008, ammalierà i palazzetti
di mezza America per 3 anni, nei quali diventerà il più
giovane MVP della storia (a 22 anni non ancora compiuti) e
trascinerà i Bulls ai loro maggiori successi nei playoff dagli
anni ’80, prima di dover fare i conti con due orribili infortuni
alle ginocchia che ne condizioneranno pesantemente la
carriera: Chance the Rapper, tuttavia, accende la DeLorean per tornare a quel periodo più felice, e regalarci una meravigliosa istantanea a stelle e strisce.
Contenuta nella outro del suo primo mixtape “10 Days” del 2012, questa
barra ci fa respirare aria di Illinois: dopo aver citato il Block
773 (quartiere cittadino) e nientemeno che Kanye West
(trasferitosi a Chicago quando aveva 3 anni), Chance ci porta
a fare un giretto lirico nelle strade della Wind City, dove ci
imbatteremo in un giovane Rose intento ad allenarsi ai tiri
liberi.
Situazione, peraltro, probabilmente verificatasi anche
nella realtà: prima del college a Memphis, infatti, Derrick
frequentava la Simeon Carreer Accademy, letteralmente a
due passi dalla casa natia del poliedrico artista. Chissà se,
incontrandosi in quel parchetto, qualcuno dei due sapesse
già cosa sarebbero diventati: Derrick un MVP NBA, Chance
un vincitore di tre Grammy Awards con il suo mixtape del
2016 “Coloring Book”, primo album in streaming ad ottenere
un’onorificenza simile, e successivamente persino attore.
2.“Now I’m gettin’ more rings than Bill Russell in an Audi”
Wale “Thank You Freestyle”
Dalla scorsa puntata dovreste ricordarvi che “Ring” altro non
è che lo slang americano per chiamare i titoli NBA, e che un
“Ring” sia un riconoscimento sportivo sufficientemente
ambito negli Stati Uniti; ma vi siete mai chiesti chi sia il
giocatore che ne ha vinti di più nella storia, e soprattutto
quanti ne abbia vinti?
Per rispondere alla domanda dobbiamo tornare indietro all’NBA non dei nostri padri, ma dei nostri nonni: quel giocatore risponde al nome di Bill
Russell, è considerato uno dei migliori centri di tutti i tempi e vinse 11 anelli con i Boston Celtics a cavallo tra il 1956 e il 1969, record eguagliato da un’altra sola persona nella storia dello sport professionistico americano. Certo, la competizione fisica e tecnica era sicuramente più ridotta di
ora, ma provate a pensarci bene: in 13 anni di NBA, Russell
NON ha vinto il titolo solamente in due occasioni.
Per metterla in prospettiva, una leggenda come Michael Jordan
ha portato a casa “solamente” 6 titoli in 15 stagioni; questo
dovrebbe dare un’idea di che tipo di dominio avesse il
giocatore di Boston sul campo, e di quanto sia rispettato
ancora oggi all’interno della NBA.
Qui Wale, oltre a rendergli omaggio, fa un ingegnoso gioco di parole usando i due significati di “ring”, come solo la lingua inglese può
consentire: nemmeno unendo gli 11 anelli di Russell con i 4
del logo dell’Audi si giungerebbe al numero di anelli (questa
volta nel significato più diretto del termine) che il rapper di
Washington può ora permettersi grazie ai soldi guadagnati
dalla musica. E nel 2012, anno di uscita del pezzo, a Wale
non mancavano più di tanto le entrate: giusto l’anno prima
aveva pubblicato “Ambition”, primo album sotto la sua
attuale etichetta, Maybach Music; la passione per l’NBA,
invece, dura da tanto tempo, e recentemente ha perfino
assunto un allenatore privato per migliorare il suo tiro.
3. “Just a white man excelling in a Black sport, like I’m Pistol Pete“
Action Bronson, “Contemporary Man”
Diciamoci la verità: gli stereotipi sono sempre brutti, oltre
che scorretti, ma nei fatti l’NBA tanto quanto il rap game a
stelle e strisce contano una netta maggioranza di interpreti afroamericani, e una fama un po’ scherzosa di ambienti non troppo adatti ai bianchi.
Ovviamente potremmo facilmente trovare mille eccezioni e qui Bronson, nato nello stato di NY ma di origini albanesi, ci porta a fare un altro tuffo nel passato, per scoprire forse una delle più eclatanti: Pete
“Pistol P” (soprannome dovuto al suo strano movimento di
tiro, che partiva dal fianco) Maravich, uno dei giocatori più
dominanti e, insieme, più sfortunati della pallacanestro a
stelle e strisce. Sono tanti gli aspetti a farlo entrare nella
leggenda: i 44 punti di media con Lousiana University, dove
monopolizza il pubblico già nel suo primo anno; gli oltre
15.000 segnati in 10 anni di una carriera NBA spesa tra
Atlanta, Utah e Boston, dove dispenserà saggezza cestistica
ad un giovane Larry Bird; soprattutto il fatto che abbia
segnato così tanto quando ancora non esisteva il tiro da 3, il
che proietterebbe i suoi punti ad un irreale numero di
25.000. E allora perché “sfortunato”?
Beh, il 5 gennaio 1988 “Pistol P” sta giocando una partitella amichevole a
Pasadena, quando improvvisamente si accascia al suolo: a
soli 40 anni non c’è più niente da fare, e si scopre che chi sta
lassù, forse per compensare quelle mani di seta, lo ha fatto
nascere senza l’arteria coronaria sinistra. Il rapper-cuoco
(non è un errore, prima della musica Bronson era famoso
per uno show di cucina online chiamato “Action in the
Kitchen”) paga qui un tributo a questa leggenda, affermando
che, come “Pistol” eccelleva in NBA, lui eccelle nel rap game:
ha infatti accumulato un contratto con Warner Music, feat
con MC del calibro di Raekwon e Wiz Khalifa, apparizioni in
tour al Coachella e in Australia, dove ha fatto da apertura
per tutto il tour di Eminem, e perfino insistenti paragoni
(anche se a mio avviso un po’ infondati) con il suo idolo Ghostface Killah.
4.“Tables turned, lesson learned, my best look / You jumped sides on me, now you ‘bout to meet Westbrook”
Kendrick Lamar, “The Heart part 4”

Nella vita è sempre brutto venire traditi: sia che il traditore sia un
amico, un collega, un collaboratore o una ragazza, anche se la
cosa migliore sarebbe andare avanti è davvero difficile lasciarsi
del tutto alle spalle rancore e sentimenti di vendetta.
Chiedetelo a Oklahoma City: dal 2008 al 2015 la squadra cittadina dei
Thunder era indicata dai più come prossima dinastia della NBA,
potendo contare su 3 stelle del calibro dell’ala dal tocco magico
Kevin Durant, l’esplosivo playmaker Russell Westbrook e la
dinamite offensiva James Harden, a quel tempo uscente dalla
panchina. In questi anni i Thunder arrivarono anche in Finale di
Conference e Finale NBA, venendo però sconfitti dai San Antonio
Spurs e dai Miami Heat di LeBron James; dopo l’ennesima
sconfitta nei playoff, nel 2015 contro Golden State, si verificherà
un evento destinato a cambiare per sempre la sorte della
franchigia.
Tre anni dopo l’addio di Harden in direzione Houston,
infatti, anche Durant ha esaurito il suo contratto; contro ogni
previsione la superstar sceglie di non rimanere a Oklahoma,
facendo le valigie per raggiungere quei Warriors che l’anno prima
li avevano sconfitti, e che grazie a lui diventeranno una delle
squadre più forti della storia NBA.
Come potete immaginare Westbrook è furibondo, il suo compagno di mille battaglie ha tradito lui, la città e i tifosi, per unirsi ad una squadra già
vincitrice del titolo, e questo non può essere perdonato. Iniziano
anni difficili, a livello umano, tra i due: in campo non si fanno
mancare niente, dalle paroline al miele alle spinte, KD vince due
titoli con i Warriors ma Russ riesce a portare ai playoff dei
Thunder decimati, venendo anche eletto MVP dopo la sua
incredibile stagione del 2017. Con la sua maestria lirica Kendrick
avvisa quindi la ragazza a cui si rivolge in questo pezzo, suo primo
singolo del, guarda un po’, 2017, di stare attenta dopo aver
tradito la sua fiducia: potrebbe infatti incontrare molto presto il
suo “lato Westbrook”, tanto livido di rabbia quanto determinato
a prendersi una rivincita morale. Anche se, onestamente, i suoi
fan si accontenterebbero di un nuovo disco: “DAMN” è uscito
ormai più di 3 anni fa…
5.”Better check the stats, we fillin’ arenas / and I got the gats, Gilbert Arenas”
Rick Ross, “Ima Boss RMX”
La musica di Rick Ross, o Rozay come viene chiamato dai fan, è
sicuramente una delle più autocelebrative del rap americano: se
avete minimamente presente l’immaginario luxury e quasi da
Scarface di Guè Pequeno, ricordatevi che siamo in America e
moltiplicatelo per 10.
In questo pezzo in collaborazione con Meek Mill, uno degli anthem della sua etichetta “Maybach Music”, dopo aver proclamato il frequente sold out dei suoi tour Rozay cita un giocatore passato alla storia meno di quanto avrebbe potuto, anche se non per motivi di cattiva sorte: Gilbert Arenas,
alias “Agent Zero”. Auto-affibiatosi questo soprannome per
smentire i suoi coach del college, che ritenevano non avesse
chance di giocare in NBA, diventò invece una star agli Washington
Wizards, dove contribuì molto ad animare la Eastern Conference
di quegli anni e si fece una particolare fama di giocatore clutch,
capace cioè di segnare negli istanti finali delle partite punto a
punto; proprio quando tutto sembrava andare per il meglio, tuttavia, nel 2010 Gilbert venne sospeso dalla Lega per un anno intero, e gli venne addirittura decurtato lo stipendio. Il motivo?
L’allora coach degli Wizards, entrando un giorno in spogliatoio,
trovò Gilbert e il compagno di squadra Javaris Crittenton con due
rivoltelle cariche puntate contro, assistendo, secondo la
leggenda, ad un insolito scambio di battute (“I play with guns”; “I
play with guns too”): per quanto nessuno si fece male l’NBA non
potè lasciar correre, e meno di due anni dopo Arenas partirà alla
volta della Cina. Quindi sì, Rozay, per evidenziare il tuo possesso
di armi hai scelto proprio l’esempio giusto, ma cerchiamo di
ricordare Agent Zero anche per il giocatore spettacolare che è
stato: se non credete a me, crederete ai suoi Highlights su Youtube.
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