Arance da guerra

Maria Francesca Mazzella nasce a Napoli, cresce a Milano e frequenta il corso di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali al Mills College at Northeastern University, ad Oakland, CA. Oggi ricerca, nell’arte, nella scrittura e nelle storie altrui, un momento di scoperta e condivisione libera.

Dove siedono i vostri nemici davanti alla Pace? Come ripongono le armi quando costringete le bandiere ad imbiancare la resa? E loro, incerte, scoloriscono in un pallore acidulo, anche se le pupille restano ferme in fosse di comuni speranze? Sono propensi ad assecondare la vostra richiesta? O sono fedeli ad un’elevata morale il cui principio avete sempre ribadito? Se ci fosse pietà tra voi e le vostre inimicizie, forse trovereste quiete in una veloce comunione e in fragili laiche confessioni. Vivete in un contesto artificialmente naturale. Riporrebbero insomma le spade affilate e le mitragliatrici veloci ad un vostro segnale? Le lente parole tardano ad arrivare fin qui, quando siete lontano mille miglia. Avvicinatevi dunque, 

 a voi non è imposta nessuna battaglia. 

Mentite o siete di stirpe funesta.

È certo che fra tutti i vostri avversari, nessuno vi donerebbe un po’  di pane prima di afferrarvi per le caviglie e spogliarvi di ogni memoria. Questi uomini, i vostri uomini, conservano le pistole strette al petto tra camicia e casacca, come se i proiettili non dondolassero a destra e sinistra ad ogni respiro. E contano, si ricordano, che ogni passo in avanti è solo un passo più breve. Più insensato. Più pesante. Mentre voi gli urlate di sacrificarsi con onore, non li vedete mentre piangono silenziosi. Non ascoltate la catastrofica melodia che abita i loro cappelli a contatto con i pochi capelli rimasti. Sono tutti genuflessi verso Dio. Le fotografie dei loro amati sono oramai impregnate da ruvidi pianti e salati sudori, e molte, accatastate tra fanghi calpestati dai vostri stivali dorati.         

 Non li avete visti? I vostri Sergenti buttare via sbiaditi pezzi di carta ogni volta che venivano accesi fuochi sulle punte delle vostre spalle?

Siete il solo a non esserne invecchiato. Dormi un pò, ti farà bene. E loro potranno raccogliere tutte le pietre necessarie per costruire una nuova città. Che poi sarà paese. Che poi sarà Patria. E non sarà più Guerra in questa terra lontana, ma sarà quiete tutto intorno. Le nostre mura saranno ricoperte da edera violacea e raccapricciante. Le vostre vesti non devono essere appese in vetrine sotto calde luci, in musei lontani,

                                                                       se siete vivo. 

Possiamo morire qui una volta, per l’uomo che non ci riconosce più e rinascere umili, rincuorati da vita nuova. Non pensate che ricomincereste vittoriosi senza spille? Con le spalle appoggiate a schienali di sedie in legno sfilacciate e indurite da parole familiari? Loro sono stufi della guerra, sono stufi del denaro, sono stufi di seguirvi davanti ad un pubblico assente. Perché non dormi? 

Indossano camicia e casacca anche le armi, che a fine giornata non dormono nascoste sotto cementine, ma lenzuoli gentili. Nei loro letti, minute e munite di sapone e coperte, così da non essere mai sporche e catturate da altre armi crudeli. Non ci sono più carezze a confortarle. Solo le solite ferme e stanche ruvide mani. I vostri soldati sparano, e poi grugniscono o piangono, e poi le ripongono. Non le amano più con lo stesso vigore con cui amarono le loro prime mogli. I vostri nemici come vi slegano dalle corde che vi hanno stretto tanto a lungo? Vi stritolano un’ultima volta, per ricordarvi che in questa liberazione nasce la loro futura ripresa. Vi osservano con la silenziosa ferocia di prospettive distrutte. Bastava diceste tre parole, due mezze virgole, con dodici deboli accenti. Eppure non avete emesso un suono. Fra le stoffe dei loro cappelli sono incastrate le spine di Cristo, lasciate a loro da chi ha intagliato le spine per Cristo. 

Pare tutta soffice la cena che vi hanno proposto di addentare a bocca chiusa, preparata laboriosamente su lunghe tavolate di marmo. Se solo li aveste visti trascinare le membra dei vostri Capitani nelle loro cucine e servirvi le loro carni, forse avreste acconsentito ad una fuga repentina. Perchè non dormi più? Se ci fosse una bella luna da immortalare, rendereste tutta questa tortura cosa buona e giusta? O siete solo perché non volete intascarvi la speranza? Vi arrendete in loro nome e poi soffiate via il rimpianto di non aver pulito gli stivali prima che si impregnassero di altro fango. Voi il sangue lo scorgete solo in vena vostra!

Ora lamentate il vero, non c’era macchina o moderna tecnologia con cui riprendere le lucciole la notte del Cinque Gennaio. Ora, potete solo dire di averle viste e nessuno vi crede se non per mendace cortesia. Ma non è il male maggiore della guerra, né il male maggiore della morte. Ne avete ucciso di vostra mano uno solo – ve lo rinfacciano i pallidi occhi che incrociate ad ogni boccone. Il più piccolo e insignificante dei soldati, quando vi disse che in guerra le fotografie non dovrebbero essere scattate. Ed è scivolato giù, sotto le scarpe di tutte le truppe che vi seguivano. Era solo anche lui. Ma a voi non è importato. Avete poi richiesto che ci fosse silenzio e nessuno ha più lamentato fastidio, o pensato al dolce profumo delle arance quando aperte con troppa fretta, sporcano le mani, le vesti e i gomiti. Questi commensali, con cui ora sghignazzate e vi scambiate battute irriverenti, vi desiderano ancora incapace di urlare alcun ordine, sfinito dalla preghiera di essere risparmiato.

Il Generale fa tutto il giro della giostra della guerra e poi non gioca quando i giovani vogliono gente con cui parlare senza sapere il giorno in cui moriranno.

Voi siete un Generale?

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