Poesie di Leonardo Quadrio
I - L'ANGELO STERMINATORE - I VOCE Avanzo su pro li di tamburi, su rulli di pura simmetria. Il cuoio è una sfera piana che irrora ogni sembianza di linee senza ritorno. Il ritmo è un triangolo avvolto, come un'anguilla abbozzata, al fiato della consistenza. I miei salmi sgozzeranno vele di purpuree triremi ormeggiate lungo scogli di mito. Le mie leggi estirperanno parlamenti di usignoli riuniti in meriggi passati. Voi che spartite le notti col rumore dei sepolcri! Voi che dividete l'alba con le forme e lo spessore di ciò che non è mai stato! Respirate solo aromi di punti. “Mio Signore, mio Sogno! A lungo sono stato ogni istante una luce diversa. Come un nastro perfetto, ho amato d'in nite singolarità lo stesso scatto di rosa. Non riesco più a dimenticare il lampo delle sue spine.” Io, che ad ogni passo sono polvere e sono loto, sulle sponde dei vostri gorghi mi rannicchio e piango.
LA VOLPE CHE SQUARTA La foresta è un canino fulvo e frastagliato. Sul suo avorio frusciante mi crocifiggono i tuoi guaiti color miele. Sento il tuo corpo di pelame e di foglie scavarmi le vertebre fin nella trama più fina, nel loro sugo di luna. Volpe in camice bianco! Sul tuo banco da mentecatta, ventre di polpa arancio, fa bollire ed evaporare il ripieno della mia pelle. Con le tue unghie caramello, pulsanti come una folla, recidi i miei tendini, scortica la mia muta vuota come se d'angelo. Fa di lei il tuo mantello, gioia imprecisa di sole. Inventa i geroglifici delle mie viscere. Scrivi le ossa dei miei algoritmi. Fa di lei l'opale delle tue risa senza fine. Prosciuga la grafite impigliata tra le arterie, il mare che mi incide col suo spessore da cimitero Fa di lei la cerea blusa della nostra libertà. Spazza via gli idoli, il loro peso da vitello che schiaccia col suo oro il mio viola di lavanda. Rinuncio ad esistere. Dipingimi soltanto così come mi ami.
IL MITOGRAFO - I VOCE In un’ampolla tengo la tua pelle sciolta, aroma di fiori celesti sbocciati in esagrammi. Intingo il mio stilo nella pasta dei tuoi occhi, bitume d’Orsa Maggiore sprofondato di gesti. Delineo nell’aria un contorno da Argonauta. Le tue caravelle tagliano, come giaguari di corallo, la salsedine argentea del nulla. Fondano, nell’algido bianco, il tempo cangiante degli idoli. Allevo nel tuo cuore uno sciame di api vestali che apparecchiano solenni, in masse d’acqua e di fuoco, le carni dei tuoi figli. Divora il miele che ci divora, coltiva ingordo ogni abisso. Gioco con l’inesistenza. Le piume degli angeli smonto in ingranaggi, in bombe di gure. Sono il carro di Medea che si invola impunito. Sono i buoi chiazzati di sole, i tuoi raggi insanguinati.
L'ERUDITA - II VOCE Dallo scranno osservo algide boscaglie auree fondersi in piumaggi aquilini lungo nere aste inerpicate di mummie torte ad olivi, crepitanti di crepuscolo. L'impero è porpora, porpora sono i mari, gli aculei che martellano le loro sudice salsedini su ogni alba di mondo. Ti piovono dietro solchi di grumi rossicci indigesti di carovana, accoliti senza spiazzi. Dallo scranno contemplo violette tiroidi spolpate pulsare volti d'avvoltoio lungo nere aste curvate da nani paggi d'alluminio, biondi automi di carta velina. L'insegna è farsa, farsa è impero, le aquile che stracciano il loro oro di cartapesta in budini d'iridi ammaliate. Ti rotolano dietro omuncoli di spuma marina, arcipelaghi in potenza senza spazi per sublimare. Negli occhi ti riscrivo da aquila avvoltoio, da avvoltoio vano di gelso.
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