LU: Musica Sotto-Sopra

Intervista del Liberty Club a LU (Lucia Vitale) condotta il 14 Ottobre 2023 da Francesca Mazzella e Matteo Scantamburlo

Ciao, puoi dirci in breve chi sei, cosa fai?

Sono Lucia, principalmente una musicista, questo è quello che sto studiando e che voglio fare. Ho un progetto che si chiama LU da ormai circa tre anni. Ho iniziato piano piano a fare qualche canzone, e poi a farle uscire. Ho fatto qualche live e sono contenta, perché mi rendo conto che molta gente si è affezionata al progetto.

Il progetto LU coinvolge anche altre persone?

È iniziato coinvolgendo altri due ragazzi, produttori, Bravo, Bravissimo e Yoisho (Federico Lastella e Gabriele Virag Muselli), anche se ora lavoro principalmente con Federico. Tutto è iniziato durante la quarantena, momento in cui siamo stati tutti chiusi in casa per un tempo lunghissimo, quando  ho preso un typebeat gratuito da YouTube  e ci ho scritto sopra Gabbia, pubblicandola poi  su Instagram. Avevo pensato “Tanto per un po’ non vedremo nessuno, quindi nessuno potrà prendermi in giro”, quindi ci ho provato.
Tramite ri-condivisioni la canzone é arrivata a Gabriele, che è rimasto colpito dal pezzo, quindi abbiamo poi fatto, sempre in quarantena, a distanza, un’altra canzone insieme, che si chiama Abbey Road, però è solo su SoundCloud. Da lì poi mi ha portata nello studio di Federico, che aveva aperto una settimana prima che chiudesse tutto per il Covid, quindi lo abbiamo sfruttato noi con le mascherine. Inizia cosí questa collaborazione, ci trovavamo in studio, io portavo un testo nuovo, perché ne avevo scritti un bel po’ intanto, e insieme ci lavoravamo, dato che io non avevo gli strumenti per renderli veri e propri pezzi. Grazie a loro ho dato una chiusa alle idee che inizialmente erano solo nella mia testa.

Prima della quarantena già scrivevi?

Sì, in terza liceo ho fatto un corso di songwriting, scrittura di canzoni, non era organizzato benissimo ma mi ha dato gli strumenti per capire meglio la musica. Magari prima la ascoltavo senza prestare veramente attenzione a tutti gli elementi che la componevano, però con il corso ho iniziato  ad avere un occhio critico verso di essa. Non avendo mai studiato musica a livello teorico, ero inevitabilmente piú legata ai testi, quindi spesso scrivevo le parole ma poi rimanevano lì. Crescendo, ho iniziato a studiare la musica e a dare un senso a tutto.

Invece a cantare quando hai iniziato?

In realtá io da piccola cantavo, ma mi vergognavo tantissimo. I miei genitori mi avevano obbligato a studiare chitarra classica da piccola e prima di ogni saggio io piangevo, non volevo farlo, avevo paura del pubblico. Non so come sia successo, ma un giorno mi hanno detto: “LU devi fare questo concerto” e quindi, nonostante la paura, ho cantato le mie canzoni davanti a un pubblico e tutto sommato è andata bene, e ha anche iniziato a piacermi. Ho preso poi lezioni di canto quando ho iniziato a cantare un po’ piú seriamente.
 
Quindi oggi come vivi il contatto col pubblico?

Ho sempre paura prima di salire sul palco. Se venite ad un mio concerto e magari prima di iniziare non vi saluto o sembro arrabbiata  non è perché vi odio, ma perchè mi sento morire. Poi arriva la prima canzone, mi rilasso e va tutto bene. Il rapporto con il pubblico è bellissimo, cantano le canzoni, c’è un coinvolgimento bellissimo.

Andiamo ora alle origini, cos’è la musica per te? Come la vivi? In che modo influenza la tua vita?

La musica per me è tutto (ride, ndr). Scherzo, però è sicuramente un modo per esprimermi, sarà banale ma è l’unico in cui riesco realmente a farlo e a dire quello che penso. È il mezzo con cui mi viene meglio, di conseguenza ho acquisito una sorta di sicurezza pian piano, mi piace esprimermi in quel modo lì e ora ho iniziato a studiarla in modo più serio. É un mondo fantastico che adoro approfondire. Mi fa sentire sicura, cosa che nella vita di tutti i giorni non sono, sono insicura su molti aspetti, ma quando sono sul palco o sono in studio mi dico “Lo so fare”, ho delle competenze e riesco a metterle in campo.


Quindi cosa studi nello specifico?

L’anno scorso ho studiato canto Jazz e quest’anno cambierò e farò composizione. Ciò che mi piace maggiormente della musica è farla, scrivere i testi. Non mi sento tanto una cantante. Canto, sono intonata, ma non è la cosa principale che vorrei fare. Non vorrei fare l’insegnante di canto, per dire, ma scrivere per altri mi piacerebbe molto. 

Proprio da questo punto di vista, nel tuo processo creativo viene prima la parola, la melodia, o il concetto, puoi spiegarci meglio?

In realtà dipende, di solito mi metto al piano e sviluppo delle idee da zero. Oppure parto da idee già scritte che spesso mi vengono nei momenti peggiori, tipo quando sono in macchina. Altre volte capita che sono in giro, registro l’idea sul telefono, arrivo a casa e ci lavoro.  Altrimenti mi danno una base e se mi  piace ci scrivo sopra direttamente.

Riguardo a questo, come ti rapporti con i tuoi produttori? Scrivete insieme o spesso tu gli porti il prodotto già pronto? 

Capita più spesso che io porti loro qualcosa di già pronto e poi ci lavoriamo. Alcune volte invece Federico mi fa sentire un beat che ha creato e proviamo a tirare fuori qualcosa. Rispetto molto il suo lavoro perché  è il suo personale modo di esprimersi ed è un artista in questo ambito. Per quanto riguarda la stesura del testo, riesco a scrivere soprattutto quando sono a casa da sola. Capita di fare sessioni in studio con più persone dove si cerca di scrivere canzoni da zero, ma è sempre stato  molto difficile per me perché entra in gioco il timore del giudizio dell’altro. Ci sono davvero poche persone con cui sono tanto in sintonia da riuscire a scriverci insieme. Preferisco farlo da sola e poi portare il testo  quando mi convince. 

Oltre alla produzione, abbiamo visto che hai collaborato con artisti come Arden e Diorama: come sono nate queste collaborazioni? 

Principalmente nascono con miei amici, ci conosciamo prima in amicizia e poi si decide di lavorare insieme. La prima collaborazione che ho fatto è stata con Diorama, che  è stato uno dei primi a credere in me. Ero all’inizio del mio percorso, mi ha fatto sentire una sua canzone e mi ha chiesto di scrivere una strofa. Probabilmente avrei potuto metterci anche qualcosa in più di mio, ma ero ancora un po’ insicura e mi facevo molto trascinare. In ogni caso alla fine è uscita fuori una bella canzone quindi sono contenta. 
La collaborazione con Arden invece è stata una delle poche volte in cui è nato tutto in studio. Ci siamo trovati e l’idea iniziale era quella di lavorare a un pezzo che lui aveva già iniziato. Poi la session in studio si è evoluta in modo diverso da come ci aspettavamo e ZITTO MAI è nata così. È stata un’esperienza molto appagante perchè mi sono sentita utile sia nella scrittura, sia nella stesura della parte strumentale, che solitamente lascio fare agli altri. 

Sappiamo che sei stata firmata da un’etichetta discografica…

In realtà NUDA, è un’etichetta, ma mi segue solo come management. Non ho ancora firmato con nessuna casa discografica. Peró avere dei manager è fondamentale perchè mi aiutano a gestire tutto ciò che prima dovevo fare da sola. 

Alla lunga, questo cosa potrebbe rappresentare?

Spero mi mettano su dei binari, a volte è facile perdersi quando bisogna fare tutto da soli.

Toccando un tema un po’ più lontano dal processo creativo: i talent, hai mai pensato di partecipare o entrare in quel mondo?

Per ora no, ho provato a fare X Factor. Mi hanno chiamata loro, ho fatto il provino e poi non sono stata scelta.  È stata un’esperienza che volevo fare per capire come funziona il dietro le quinte.  In generale penso che i talent siano molto più televisione che musica. È un trampolino enorme ma bisogna stare attenti. Ho visto alcuni “colleghi”, negli ultimi due anni, partecipare a dei talent e penso che alcuni abbiamo perso un po’ la magia che li caratterizzava. Un po’ mi spaventano, ma ne riconosco il valore espositivo. Non considero tanto questa idea, ora, ma magari in futuro ci penserò. 

Quindi, mantenere questa magia per te equivale ad avere il controllo sul tuo processo creativo? Se sì, ci racconteresti come funziona?

Sì, assolutamente. Spesso appunto delle cose sulle note del telefono, succede principalmente quando sono un po' triste. Ho molta più ispirazione dopo un momento denso di emozioni, è come uno sfogo, quindi quando sono un po' più giù mi metto al piano e cerco di dare un senso  a quelle frasette che scrivo sulle note. Cerco di ampliarla, per poi andare in studio e finalizzarla. 

 Abbiamo notato che nonostante canti in italiano, hai un sound piuttosto internazionale. Hai dei punti di riferimento precisi, sia dal punto di vista musicale che non, che ti ispirano nello scrivere o produrre la tua musica?

Sì, principalmente a me piace la musica R&B, soul, black. Ho studiato jazz l’anno passato, che mi ha dato tante influenze a livello melodico.
Infatti in questi due EP che sono usciti non c'era nella musicalità tanto di mio perché spesso scrivevo gli accordi delle canzoni però poi l'arrangiamento veniva creato dai produttori senza che io dicessi niente, dato che ero molto inconsapevole riguardo quell’aspetto musicale. L'ultimo anno ho iniziato a studiare e mi sono appassionata di più a quei generi lì, quindi adesso nelle canzoni che sto scrivendo do più quell'impronta.
Anche in studio mi concentro di più, dicendo la mia, spiegando cosa sto cercando con una consapevolezza del sound che mi appartiene maggiormente. Ovviamente non è musica totalmente R&B o soul, ha sempre qualcosa di pop, il ritornello che rimane in testa, e a me piace la fusione delle due cose.

È evidente che stai acquisendo maggiore consapevolezza artistica, e vorremmo parlare un po' dei tuoi pezzi e della tua musica nello specifico. Tra il 2020 e il 2021, ufficialmente nel 2021, esce Gabbia, il tuo primo singolo. Come nasce? E qual è stato il processo che poi ti ha portato a pubblicarlo come primo singolo ufficiale su Spotify?

Allora, nasce quando ho scritto il testo in quarantena, prendendo un beat da YouTube e poi ci ho fatto un music video che ho pubblicato su Instagram. E sotto quel video, non so per quale motivo, si è creato un po' di hype nei miei confronti. Molti commentavano e sembravano interessati a sentire di più, quindi abbiamo detto “Mettiamoci a lavorare su questo pezzo, perché buttarlo via?”. Fede e Gabri hanno rifatto la produzione, che per tanto tempo non mi ha convinto a pieno e l’hanno dovuta cambiare molte volte. Ad oggi quello è il prodotto finale. È stato un bel passo.  Ai tempi non conoscevo ancora il mondo di Spotify e il meccanismo per cui se non finisci nelle playlist è come se non esistessi. Gabbia non era finita in nessuna playlist, ma aveva comunque fatto molti ascolti per i miei standard. Ne sono rimasta molto contenta, ed è stato il la con cui sono entrata in questo mondo.

Hai menzionato il mondo di Spotify, come vivi l’esposizione mediatica? Il dover mettere una canzone su una piattaforma e dover aspettare il suo successo?

Ultimamente sto cercando di fregarmene. Per l’ultimo EP, ad esempio, non avevo grandi aspettative, più che altro perché stavo lavorando ad altri brani  che mi piacevano di più, che erano più vicini al mio sound e quindi ho detto “Basta, facciamo uscire queste canzoni, non le sopporto più!”. Ce le avevo lì da due anni praticamente. All'inizio questi due EP dovevano essere un album tutto intero, ma ci hanno consigliato di dividerlo in due perché fare un album è un suicidio per un artista emergente: non hai i numeri per fare in modo che il pubblico ascolti tante canzoni tutte insieme. In questo modo avrei avuto una maggiore esposizione. Però adesso coi nuovi brani a cui sto lavorando penso tornerà quella paura di non andare in playlist, la cosa brutta è vedersi la sera dell’uscita del pezzo per festeggiare  e appena scatta la mezzanotte stare sul telefono a controllare se il brano è finito in playlist. Purtroppo è molto importante perché se non si ha quella esposizione, la canzone sembra quasi non essere uscita. L’ansietta c’è sempre, ed accomuna un po ' tutti noi artisti emergenti. Poi é capitato anche che  canzoni che mi aspettavo avessero successo, come Buio negli occhi, non lo hanno ottenuto. Quel pezzo, ad esempio, non è finito in nessuna playlist, e non nascondo la nostra delusione…poi però ha fatto comunque ventimila ascolti, ventimila volte persone vere hanno ascoltato il mio pezzo. Non grazie alla riproduzione casuale di una playlist, ma hanno scelto volontariamente di ascoltare il mio brano. Non sarà il risultato migliore da ottenere, però è ció che ti fa capire che stai andando nella direzione giusta.

Luci, ombre, persone, la tua stanza, temi molto spesso presenti nelle tue canzoni, c'è un filo conduttore tra i vari pezzi o ogni canzone è a sé stante? 

Allora, sì ogni canzone sta un po’ a sé. Ma mi rendo conto ci siano temi ricorrenti. Il non sentirsi all’altezza o l’aver paura di buttarsi nelle cose, nelle esperienze. Oppure l'incomunicabilità che spesso gioca un ruolo fondamentale nelle relazioni. Riesco a comunicare meglio ciò che sento nelle canzoni, piuttosto che nella vita vera. Forse Il fatto che scrivo sempre nella mia stanzetta mi riporta sempre a quei temi ricorrenti, a volte vedo questa cosa come un difetto perchè mi ritrovo spesso a usare sempre le stesse immagini o le stesse metafore.

A proposito della tua scrittura in UN MILIONE DI SCALE, si nota un esplicito riferimento montaliano. Pensi che la tua formazione classica (hai frequentato il Liceo Classico “Carducci”) influenzi il tuo processo di scrittura? O l’arte in generale?

Il liceo sicuramente mi ha dato gli strumenti per conoscere argomenti che altrimenti non avrei mai conosciuto. La letteratura è sempre stata la mia materia preferita e ho sempre amato scrivere. Al liceo ho avuto una professoressa che mi ha esplicitamente detto che esprimermi nei temi non faceva per me. Ai tempi é stata molto dura superare una batosta del genere ma da lì ho preso consapevolezza che forse mi sarei potuta esprimere in un altro modo, attraverso la musica. Ricordo sicuramente il mio amore per la poesia, a volte mi capita di leggere qualcosa e di esserne ispirata, il che mi da’ molti strumenti utili per ciò che faccio adesso. 

Riguardo a ispirazione da altre forme artistiche nella musica…

Devo dire che principalmente quello che mi ispira nello scrivere musica è altra musica (su Spotify) o sentire concerti dal vivo. Ultimamente sto andando spesso a live di artisti emergenti come me ed è sempre sorprendente. Ho trovato artisti fortissimi che di conseguenza mi hanno ispirata nella mia arte. Oltre ad altra musica, traggo tanto spunto anche dalla poesia. Non mi ispira molto l’arte figurativa.

Quando pensi ad altra musica, hai qualche nome a mente?

Principalmente penso ai cantautori, che praticamente scrivono poesia anche loro. Ascolto Dalla, Battisti, e ho riscoperto Pino Daniele. Lui unisce tanto i sound che mi piacciono di piú: jazz, soul, funk e il cantautorato in napoletano, che mi sorprende sempre. Penso sia molto importante circondarsi di artisti e musicisti, che sono molto grata di aver incontrato  soprattutto alla Civica, dove ho studiato l’anno scorso. Molti studenti hanno anche progetti al di fuori del percorso accademico e spesso sono davvero sorprendenti.

In uno dei tuoi brani scrivi: “Convivo col sorriso di facciata aspettando solo un giorno a settimana per vivere”. Appari incastrata in un sentimento malinconico, ti farebbe piacere spiegarci proprio questo filo di emozioni che ti porta a scrivere pezzi tanto profondi?

Quando ho scritto quelle parole, che mi stanno molto a cuore, parlavo di un malessere che ho vissuto per la maggior parte del liceo. Sono stata sempre un po’ introversa, non avevo molte amicizie, di conseguenza passavo la mia settimana a studiare a casa o a non studiare, ma sempre a casa. Magari uscivo solo il sabato sera, un piccolo momento di svago, e poi tutto ritornava uguale. Ogni giorno uguale all’altro. Quel pezzo era un urlo a me stessa. Un urlo alle persone con cui cercavo di rapportarmi, principalmente rivolto verso i miei genitori che mi dicevano di reagire. Ma non riuscivo, sentivo la necessità di crogiolarmi in quella emozione. Dicevo loro, poi sicuramente passerà, ma per ora lasciatemi stare nel mio dolore, qui.

Tempo sprecato, dormire e svegliarsi. Parli molto della concezione del tempo, di spazi che lo occupano e di come questo tempo, spesso, risulti essere, dal tuo punto di vista, sprecato. Sembra quasi come se questo tempo debba essere impiegato nel fare qualcosa che abbia un fine più grande. La tua musica è per te questo fine?

Sì, sicuramente. Io vivo tutto in funzione di quello che poi posso portare nel mio progetto. Sono sempre cresciuta con l’idea che il tempo non vada mai sprecato, mio padre me lo ripete sempre. Quando lavoro alla mia musica, agli occhi degli altri sembra che io stia perdendo tempo. Dal punto di vista sociale la mia situazione è difficile, perché fare musica è ancora visto come un semplice hobby, invece dietro a tutto questo c’è tanto lavoro e impegno. 

A cosa stai lavorando ora?

Sto scrivendo un album, un processo lungo e faticoso. Però mi sta dando tante soddisfazioni e sto lavorando anche con persone diverse. I miei primi due EP sono stati principalmente prodotti da Gabriele e Federico. Invece ora sto lavorando anche con altri produttori, ampliando la mia cerchia. E ci saranno altri featuring, ho lavorato con artisti che mi ispirano tanto e spero di riuscire a far uscire qualcosa già a gennaio. 

In questo nuovo processo sei aperta anche a lavorare con musicisti o strumenti che non hai mai utilizzato?

In realtà sì, ad esempio ultimamente, per le influenze jazz che mi circondano, ho inserito trombe, sax, e sound del genere negli ultimi pezzi. 

Cosa ti auguri per il futuro e cosa ricerchi oggi, in questo progetto?

Mi piacerebbe essere realmente soddisfatta dell'album che sto scrivendo, lasciare in qualche modo un segno. Sarebbe bello arrivare agli altri, creando un bel prodotto che parli di me e che mi soddisfi al 100%. Ci sarà sicuramente tanto di me nel mio nuovo album, anche più di prima.



Ringraziamo Lucia per l'intervista e vi lasciamo alcuni link per seguirla:
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