Racconto di Demian Milani
Atto Primo
Astante la fossa buia. Un cesso crepato, segnato dagli eventi di una vita eppiù, in finta ceramica; quattro mura che formano un loculo, quasi quasi - pensa - è meglio di casa mia. Tira giù la patta, con un gesto lento e sul finir di quello che pare un rito, si blocca. Alza impotente lo sguardo urlando al cielo. Chiunque all’udire di quella richiesta straziante di pietà, avrebbe almeno volto un cenno, uno sguardo pieno di catene costringenti, di paura, di vicinanza o distacco, un gesto che superficialmente può risultare insignificante, inutile… Che sia maledetto colui che neanche scuote le proprie catene, che rimane impassibile, macchina! all’udir di quella richiesta straziante di pietà, di quell’urlo che non chiede conforto - poiché incapace - bensì passivo orecchio, ti chiede d'ascoltare con l’anima, ma nessuno ode, ma l'anima ce l'hai? Sordi tutti sordi. La luce al neon lo acceca col suo lampeggiare psichedelico. Sconsolato continua il rito, abbassa prima il capo e rassegnato poi cala i pantaloni. Non posso. Sente premere il bisogno all’altezza dell'inguine, dunque, svelto continua la cerimonia di svestizione passando per lo straccio cucito a mo’ di mutanda e rimane così… Mezzo nudo fra pareti tinte di scritte. Apparentemente c’è un crescente numero di puttane nella zona, dato l'elenco tipo pagine gialle impresso a pennarello sui muri del loculo cesso. Oppure solo molti giovani perditempo con una lunga lista nera e tanta voglia di rompere il cazzo. Poi - a domare cromatismi - schizzi di sbocco dai colori sorprendentemente cangianti; a dare profondità alla composizione, tocchi qua e là di merda; ma in fin dei conti, tutto sommato - pensa - è meglio di casa mia. Ora che è per metà nudo non osa abbassare lo sguardo, è confuso e nella sua mente non vi sono pensieri articolati, solo immagini di una potenza da far venir fame d’aria. E’ una belva senza zanne o artigli; un cucciolo privo di madre; un uomo nudo fra il cemento, i fili, il costrutto; un guerriero senza arco. È un uomo nudo al cospetto dello sguardo supremo. Preme vieppiù l’inguine, e chiudendo gli occhi lascia andare rilassando le membra, trattenendo una lacrima di sfogo. Spera di aver centrato la fossa e per accertarsene lancia un colpo d’occhio fulmineo. Chi è lui per modificare quel cesso - d’arte realista - quella tempesta di tinture ed episodi di vita? Lui è nessuno e non si può permettere di lasciar traccia del suo inutile capitare. Quando la dea libidinosa è sazia - mentre lui stelo languido - soggiunge un nuovo problema: come pulirsi dalla macchia dell’azione, come cancellare l'avvenuto; purificarsi dal peccato, che nuova vita attende la penitenza dell’anima? Una scrollata del bacino potrebbe modificare l’opera, vorrebbe dire apporre piccole tracce di schizzi casuali - e seppur questi impercettibili - non riuscirebbe a sopportarlo. Affronto alle Arti! La testa gli pare sul punto d’esplodere, in ogni caso di carta in quel loculo non ce n’è. Quella mente obnubilata di parole, memorie, frammenti di incubi quotidiani sta per esplodere! circondata da una strana fanghiglia eterogenea di acidi flutti e pezzi di kebab appena digeriti. Ora è il suo turno di vomitare raschiando dal profondo, tutta la Sua fossa più oscura. Due ombre. Una, la più voluminosa, barcolla commossa d’orgoglio per aver toccato l’Ade e lo zenit, in un’unica giornata volta all’evasione. L’altra, minuta e composta dalla cui bocca prende vita un fiebile fumo: par che in quel fievole, grigio brillar - alla penombra - alberghi la sua anima, e ad ogni boccata, una parte di lei s’elevi per spargersi nel sommo cielo; loro due mano nella mano. Piano piano che si avvicinano ad una fonte di luce dominante, questi acquisiscono maggiore forma e dettagli. Ma non è questo il momento per soffermarsi su di loro. Fatto è che avvicinandosi sempre più alla luce aranciata sopra i loro capi, inevitabilmente un muro bloccherà il loro corso, fisicamente e spiritualmente. In quel muro vi è una porta. Un’atmosfera brutalmente fredda ammanta l'aria attorno, e l’inquieto trasuda da ogni crepa nei muri laterali e questi, come un motore, inducono i corpi ad un lento procedere involontario sulla strada squarciata, bucata. Ma è la porta - a loro - prospiciente ad avere il vero controllo. Quei due corpi, ignari dell’intangibile potenza di quella strana porta che pare fuori dal comune ad uno sguardo più attento: nel tipo di materiale, nel colore, nella forma e nei meccanismi non sembra simile a nessuna porta mai vista. Ma pare altresì una semplice e comune porta. Il cartello con scritto "W.C." è a terra, metri più in là; un chiodo dei quattro è ancora incastonato nella materia, i restanti tre sono persi. Giunte le due ombre al termine del cammino, si fermano, entrambe si guardano attorno e poi vicendevolmente negli occhi per darsi forza; si tengono la mano in un emotivo abbraccio che trasmette loro forza. La porta ora ancora più potente e maledetta. Lentamente aprono la porta, lasciando una timida luce uscire allo scoperto nel vicolo buio. Non la spalancano, entrano timidi e richiudono al varcar.
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