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L’anno di Barocci: la “Madonna di San Simone” a Palazzo Marino

Matteo Scantamburlo è nato e vive a Milano, dove studia Storia e Critica dell’Arte all’Università Statale. Membro del Liberty fin dagli inizi, sul sito ha scritto, scrive e scriverà per raccontare le sue passioni e per creare divulgazione, convinto della necessità di vivere un rapporto attivo con la cultura.

Che gran gioia scoprire in Federico Barocci il protagonista dell’annuale mostra di Palazzo Marino, che questo dicembre regala ai milanesi uno dei massimi capolavori dell’artista: la Madonna di San Simone della Galleria Nazionale delle Marche (fig. 1).

Figura 1

Un’esposizione, questa, che pare proprio la degna conclusione di un 2024 vissuto da protagonista dal pittore urbinate, che già tra giugno e ottobre ha incantato visitatori da tutta Italia nella memorabile monografica tenutasi a Palazzo Ducale, e che ora vede continuare anche a Milano questo processo di riscoperta della sua figura, veramente una delle più notevoli del secondo Cinquecento europeo. A Palazzo Marino non sono cambiati i curatori, sempre Luigi Gallo e Anna Maria Ambrosini Massari, segno di una continuità non solo ideale ma anche pratica con la mostra di Urbino. La vera differenza, però, sta forse nel pubblico: non più quello di Palazzo Ducale, che tra specialisti in trasferta e visitatori locali mostrava di avere una certa familiarità con Barocci, ma quello di Milano, il più eteroclito e composito che si possa immaginare, per di più a una mostra gratuita, e in pieno centro città. Ecco quindi che l’esposizione può rappresentare effettivamente un’ottima occasione per far scoprire al grande pubblico un artista non del tutto familiare ai più, vuoi per il suo stretto legame con una città come Urbino, che già quando Barocci visse stava vedendo il termine della sua gloriosa stagione rinascimentale, avviandosi a una dimensione provinciale, o vuoi per il suo essere esponente di una stagione artistica – quella del secondo Cinquecento – meno universalmente nota rispetto a quelle che la precedettero e la seguirono. 

Queste le ragioni storico artistiche, ma nella pratica non sembra esserci motivo per cui Federico Barocci non possa attrarre ampie platee; lui che nel dipingere è così dolce, accogliente e caloroso, convinto alfiere della spiritualità controriformistica, ma al contempo pittore di invenzione, che nei suoi colori reca già tracce di quello che sarà il fulgore del Barocco. Tutto ciò compare in maniera paradigmatica proprio nella nostra Madonna di San Simone, opera cardine della prima maturità del pittore, che a Palazzo Ducale era esposta insieme a tre prestiti da antologia: da Roma, la Visitazione di Santa Maria in Vallicella e l’Istituzione dell’eucarestia di Santa Maria sopra Minerva; da Perugia, la Deposizione del Duomo. Anche in mezzo a tanta grandezza la pala urbinate non sfigurava, ma ora a Palazzo Marino splende da sola, emergendo come un raggio di luce dal buio di sala Alessi, svelando ai visitatori le sue forme gentili e il suo carattere pio e vigoroso insieme.

Ricordo l’incanto che rappresentò per me il primo incontro con questa tela (ne parlai io stesso tempo fa), il momento in cui nacque la mia passione per questo pittore, di cui subito mi aveva colpito la sapiente rielaborazione dell’arte di Correggio, ripresa in certi gesti, certi atteggiamenti e soprattutto nell’ineffabile tenerezza (più profana nell’Allegri, molto sacra in Barocci); rimandi, però, arricchiti alla luce di una tavolozza tutta personale, che è presto diventata inconfondibile ai miei occhi. Un colore vibrante, che plasma le carni e fluttua per tutta la composizione, innervandosi in essa come un dolce profumo ed espandendosi nelle remote profondità del paesaggio, dove gli alberi, i monti e persino le persone perdono la loro consistenza all’interno di questa materia tanto luminosa e avvolgente.

Figura 2


Questo pensai durante la mia prima visita alla Galleria Nazionale delle Marche, e questo penso tuttora vedendo la Madonna di San Simone comparire di nuovo davanti a me, come la materializzazione di un sogno; che è poi quello che succede nel quadro, dove in basso a destra il committente Simone Bacchio indica alla consorte la scena sacra, proiezione visiva della loro orazione mentale. A proposito, proprio in questo doppio ritratto si cela il segreto più misterioso del dipinto, in particolare nel volto della donna, realizzato non direttamente sulla tela come tutte le altre figure, ma su carta, poi incollata sul quadro come una sorta di collage ante litteram (fig. 2). Tecnica tutta baroccesca, questa operazione rappresenta uno spunto di particolare interesse nel delineare la figura, già di per sé piuttosto unica nel suo tempo, di questo pittore, soprattutto perché non si tratta di un episodio isolato. Se ne trova infatti un altro esempio nella chiesa di San Francesco a Urbino – destinazione originaria anche della Madonna di San Simone – dove l’altare maggiore ospita ancora oggi il Perdono di Assisi, pala in cui la testa di San Francesco è realizzata attraverso lo stesso procedimento (fig.3). Il perché di queste scelte non è ancora pienamente chiaro: si può ipotizzare che Barocci, da disegnatore assiduo e zelante qual era, desiderasse realizzare alcune figure al di fuori del resto della composizione, ottenendo una loro  resa perfetta e definitiva già all’esterno del quadro, ma non è un’interpretazione che può esaurire la questione, sulla quale andrà ricercato ancora.

Figura 3


Oltre alla tela urbinate in mostra è esposto poi anche un disegno proveniente dal Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco, studio per una testa femminile della Madonna del Popolo degli Uffizi, carboncino che documenta uno stadio di lavorazione ancora embrionale ma utile quantomeno a vedere la bellezza del tratto grafico di Federico Barocci, che anche con poche righe e qualche ombra riesce a emozionare. D’altronde anche questa scelta sembra un modo per allacciarsi alla mostra di Palazzo Ducale, dove l’attività grafica del pittore è stata adeguatamente analizzata e valorizzata come componente fondamentale del suo fare artistico; certo sarebbe stato grandioso avere anche per questa occasione lo stupendo schizzo della Galleria Doria Pamphilj con la testa di Giuda Taddeo (fig. 4), la più bella opera su carta relativa alla Madonna di San Simone, ma ci si può anche accontentare del prestito milanese.

Figura 4


In conclusione, ben vengano le mostre gratuite di Palazzo Marino quando sono dedicate a opere così interessanti, non scontate e utili a istruire alla conoscenza di nomi meno di grido, ma non per questo poco meritevoli. L’invito ovviamente è di non limitarsi alla Madonna di San Simone ma riscoprire anche le altre opere di Barocci a Milano, la Natività dell’Ambrosiana (certo opera almeno in parte di bottega, ma fondamentale documento del favore di cui l’artista godeva presso gli ambienti borromaici) e il Martirio di San Vitale di Brera. Insomma, sfruttare l’arrivo di un’opera dall’esterno per approfondire anche la conoscenza dell’interno, nella speranza che queste mostre non giovino solo ai milanesi, ma anche a Milano.

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