Racconto di Lorenzo Mottinelli
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Avevo appena varcato la soglia d’entrata della casa di Silvio,
e la prima cosa che mi saltò all’occhio era un mobile munito di due ante e di una mensola, sulla quale regnava un ordine a dir poco evidente. Di fatto nelle restanti stanze della casa il disordine era sovrano, tranne lì, in quell’angolo.
Mi avvicinai per scorgere che cosa ci fosse di tanto importate all’interno; stavo per aprire le ante dello scomparto superiore, quando Silvio mi disse di fare molta attenzione, di non rompere niente, di guardare e basta, poiché ci teneva molto al contenuto della credenza. A quel punto la mia curiosità aveva raggiunto un limite invalicabile, e una volta aperta l’imposta rimasi stupito. Mi ricordai immediatamente che Silvio era un amante dei duelli: all’interno dello scomparto erano appese ben nove pistole.
A catturare la mia attenzione fu quella centrale.
Era una rivoltella lunga poco più di una spanna, assemblata con pezzi d’oro e d’argento e con qualche rifinitura rosso sangue sulla parte superiore della canna, che accompagnava l’occhio all’estremità di quest’ultima e al mirino. Senza pensarci chiesi a Silvio se potevo prenderla in mano per osservarla meglio, lui annuì. Afferrai quell’esemplare personalizzato di pistola a tamburo magnificamente decorato.
Per prima cosa aprii il caricatore, e con grande ammirazione osservai le incisioni apportate ad ogni spazio dedicato alle pallottole: riuscii anche a notare che per ogni colpo era stato scritto un nome: trovavo questa caratteristica alquanto originale, ma allo stesso tempo inquietante e macabra. Già mi immaginavo l’incessante rumore dello sparo del Revolver, ripetuto per otto volte, e del silenzio di tomba dopo che gli otto proiettili avevano abbandonato il caricatore in cui, con tanta cura, erano stati posizionati prima del tanto atteso duello.
Tolsi la mano dal manico e afferrai la pistola dalla parte della canna.
Il mio sguardo si posò sull’impugnatura della pistola. Legno di quercia rafforzato all’estremità da bande di ferro placcato d’oro, decorato ulteriormente da una deliziosa fantasia astratta, che spezzava la monotonia del materiale bruno. Seguii con lo sguardo la linea rossa, che dava quel tocco di colore alla canna dell’arma e che terminava sulla punta del mirino. Esaminai l’interno della canna per quello che si riusciva a vedere: era stato dipinto di rosso, mi accorsi che anche il grilletto della rivoltella presentava lo stesso colore…
“rosso come il sangue, rimanda al potere della decisione della morte o della vita su qualcun altro, il potere da sempre desiderato dall’uomo…”: fu il collegamento più logico e brutalmente veritiero che riuscii a formulare per dare una spiegazione a quel particolare tanto ripetuto.
Infine diedi un’occhiata generale al Revolver. Questo modello era stato curato in ogni minimo dettaglio, non c’era componente di quell’arnese che non fosse stato personalizzato.
“Tanto magnifica, quanto letale”, pensai, e per la prima volta nella mia vita mi domandai per quale assurdo motivo un uomo potesse provare tanto stupore e ammirazione per un oggetto con uno scopo così crudele.
In fondo anche ai miei occhi era così diabolicamente attraente.
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