Cera Colante

Carlo Danelon è di Milano ma vive a Pisa, dove studia italianistica alla Scuola Normale Superiore e all’Università. Bazzica la rubrica Letteratura di questo sito, che nella claustrale primavera del 2020 ha contribuito a fondare.

Cera colante è un divertissement, un esercizio di stile o un virtuosismo in cui l’autore si è imposto di scrivere un intero racconto rispettando una regola ferrea, senza alcuna deroga (neanche per articoli e pronomi): usare soltanto parole inizianti per «c» o «q».


«Quando chiunque crescesse qui cercava con cruente cacce cacciagione cruda con cui cibarsi, correvo con Ciacco calcando queste colorate campagne collinari, questi cari colli campestri. Correvamo, cantavamo contenti, contestandoci cordialmente conversavamo circa certe qualità caratteriali che corazzano quel ceto contadino: congenite con certa cultura campestre, ci commuovevano. Che cosa cercavamo con quei concetti ciecamente cittadini? Certo qualche claudicante causalità che collegasse quei contadini-cacciatori con quella coscienza cristologica che così convintamente – quasi circensi che cavalchino cammelli – ci consigliava qualche comunità cattolica contigua.

Combatteva caparbia contro certe coriacee certezze che condividono quei collegiali che convivono come contubernali - certezze crude, contrastanti, critiche. Ciononostante capimmo che conoscere con cognizione quella comunità ci conveniva: chi ci convertiva con corpi contundenti, qualora capitasse che – caso, credevamo, quasi certo – considerassimo quelle credenze cristiane crude querimonie casomai comiche: con quei crepuscolari concetti, quelle complesse costruzioni, quei corposi cartigli che credevamo – condonami questa caduta – costosissime cazzate?».
«Che cosa comportò, quindi, quella conoscenza?»
«Che cosa comportò? Ciacco camminava concentrato, con cautela, contemplando con curiosità quel certo coro con cupola cassettonata, quando colpì col culo qualche candelabro crisoelefantino che colava cera».
«Caspita! Che calore!»
«Calore consimile commuterebbe qualsiasi corpo con cenere. Così con celerità Ciacco corse cercando qualcosa con cui calmare quel cotone che compone certi costosi completi. Correndo chiedeva: “Cielo, calaci qualche cestello contenente Champagne cuvée, che consuetudine combina con quella cialda chiara croccante che cenando Cristo chiamò “corpo”! Caldissima cera colante cuoce questo corpo carnale, concreto quandunque quasi cotto, coperto con caldissimo cotone!»
“Caspita! Che condannabile Caino… quale crapulone colgo ciangettare! Confratello?” chiese corrucciato, camminando con compita cortesia, colui che chiamasi comunemente ‘cappellano’.
“Compagni!” corresse coraggioso Ciacco, che conoscevo comunista convinto.
“Che cosa? Contrappasso colpisca questa coglionaggine corrente che chiamate ‘comunismo’, cospiratori contro Cristo, copulanti conati! Ci costerà caro quel costrutto criminale che chiamate ‘civiltà’!”
“Questa chiamate carità cristiana?” questuò caparbio Ciacco, che combatteva comunque - qualunque cosa capitasse.
“Certo, colto cappellano, ci costerà caro…” concedetti. “Comunque: come calmiamo questo calore cereo?”
“Con la carità che Cristo conferisce, caldeggio quel cencio color cremisi: compresso contro quei calzoni consumerà, coprendolo completamente come calotta, quel certo combustibile, combustibile che chiamiamo…” continuava chiosando con cattedratica conoscenza chimica, checché combinasse Ciacco, che correndo chiudeva quella curiosa conversazione».
«Quale conclusione cessò questa contrarietà?»
«Ciacco cinse col cencio cremisi quel calore crepitante. CO2 calò; comparve cinigia, cui conseguì quieta cenere. Così ci congedammo. 
Correvamo contenti, come corre qualunque compagnia concorde, cantando come cicale: quasi qualsiasi creatura campestre - cani corvi calabroni - carezzasse quella candida, crescente  complicità».

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