Un ballo di campo

Poesie di Mattia Sofo

Fotografie di Martina Yara Pasquali

roccheforti

Ronzio di radiofrequenza
esalazione
alone nel buio
al limitare d’una campagna
che non è mai stata
la mia.

Eppure come la mia
s’illumina
sibila
squittisce.

Sono sopraffatto
dalle roccheforti
scolpite da chi ha meno tempo di me
per leccare il percorso.

Dai loro matrimoni
futuri geometrici
strutture franche
colori impermeabili.

Non so chiedere istruzioni
non so uccidere la speranza
stanze intere ammobiliate di speranza
di questo amore.

Per traslocare dove
in un ballo di campo
in parole che non mi aspettano
una tenda di cielo.

Non conoscerò
quel sonno accecante
riposo di luce
coperta d’intenti.

Zone d’ombra

Le mani parlano
in debito di dita
bagnate di sesso
di curve che portavano dentro
che hanno cambiato strada.

Ma io ancora conosco
le frasi di commiato
dei lampioni accesi
il nudo abbraccio
delle zone d’ombra.

Tribolazioni campestri

Autostrada.
Autogrill.
Autostop.

Noi e i nostri conati tondelliani
di vestiti sbiaditi per le troppe ore di tribolazioni campestri.

Noi a chiedere conto del debito civile
che evapora dalle tazzine Segafredo sui tavoli di Sant’Etienne
fino alle bocche secche di gusto, deserte di empatia.

E intanto.
Autostrada.
Autogrill.
Autolesionismi sistematici calendarizzati.

Noi a prevenirli con lunghi giri di svuotabottiglia
che nessuno ci scaricherà dalle tasse
e che non ci svuotano nemmeno
più
del tutto.

Noi ancora chini sui segreti dell’asfalto notturno
a inventarci le persone da amare
quelle possibili
quelle reali
e quelle di cui non ricordiamo più la consistenza.

Allora autostrada.
Autogrill.
Autocommiserazione lecita e non.

Noi appesi ai fili velenosi
senza sapere chi morsicare
insonni torturati da una benzedrina di domande
e le risposte scadute abbandonate
come i filtri OCB vecchi un anno affumicati sotto il sedile
dell’auto.

Noi che ancora ci intrufoliamo nelle notti per fare mattina
occhi aperti su bocche aperte su gambe aperte
odore di fiume e danze di provincia e parole ossessive
fino alla siccità
all’ultimo pezzo
all’ultima cicca spenta male.

Dannata paura di non vivere che ci fa morire
e quindi si.
Autostrada.
Autogrill.
Autonomia arancione accesa di spia.

Ci punteremo due dita a una tempia
con gli occhi chiusi perché il buio ci ha insegnato a sparare
poi alla fine del buio saremo ancora lì

un brivido povero ci paralizzerà le braccia
un grammo di felicità colerà dalla fronte.

Calpestato quest’ultimo non resterà nulla
qualche terra ci sarà fertile
e noi ci faremo una strada.

Ombra n°8

C’è chi è più grande di te
e ancora non sa che tocca essere animali
per non raccontarsi bugie.

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