Racconto di Lorenzo Mottinelli
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Un fischio assordante lo risvegliò dal dormiveglia nel quale era crollato.
Prese i suoi bagagli con l’aiuto del maggiordomo, scese dal treno e fece un respiro profondo; l’aria era fresca, pulita, e tirava una leggera brezza che spezzava l’intollerabile calore di quel torrido luglio.
Estrasse il suo orologio da tasca: era in perfetto orario.
Si incamminò con passo sostenuto e un sorrisetto avvincente sul volto mentre il maggiordomo dietro di lui, rigido nella sua compostezza, stava sudando sette camicie per stargli dietro con le valige. Appena uscito dalla stazione si diresse con decisione nel mezzo della folla, schivando ogni presenza con maestrale abilità e con l’aiuto del bastone, puntando una Bentley grigio chiaro ferma di fianco al parcheggio.
La raggiunse e salì direttamente sul sedile posteriore per aspettare il maggiordomo, il quale era rimasto di poco dietro di lui e che una volta arrivato caricò le valige nel bagagliaio e salì in macchina senza dire una parola. Il maggiordomo accese la macchina e il rombo inconfondibile del gioiellino inglese coincise con l’abituale gesto del padrone di tirare la catenella dell’orologio da taschino per buttare un occhio all’ora: in anticipo di due minuti.
Fece segno al maggiordomo di partire e nel frattempo si accese una sigaretta per ammazzare l’attesa del tragitto.
Dopo poco tempo erano già fuori città e stavano attraversando la campagna. Lui non era un uomo di molte parole, spesso preferiva lunghi silenzi alle affannose discussioni, e quando parlava era per uno scopo preciso.
“Quanto manca se procediamo a questa velocità?”.
Il maggiordomo fu colto un po’ alla sprovvista da quella domanda improvvisa. Gettò uno sguardo allo specchietto retrovisore per intercettare il suo padrone ma si ricordò che i sedili posteriori erano separati da quelli anteriori da una tendina scura.
Si ricompose immediatamente e rispose con fermezza: “Non più di una ventina di minuti, signore.”
“Accelera.” Rispose lui, e guardò nuovamente l’ora.
Il maggiordomo eseguì facendo pressione sul pedale destro.
Era quasi mezzogiorno, il maggiordomo come era solito fare per tutti i lunghi spostamenti in auto aveva preparato un pasto al padrone, il quale sapeva bene che lo avrebbe trovato nello scomparto del sedile che aveva davanti, eppure non accennò minimamente ad aprirlo.
“Quando non mangia vuol dire una cosa soltanto: è davvero impaziente per qualcosa, e l’impazienza funziona come l’ansia; ma in tutto ciò non mi ha voluto dire il motivo della meta di oggi…”, pensò il maggiordomo fra sé.
Nonostante il maggiordomo avesse già accelerato, lui era del tutto inquieto, il suo sguardo continuava a rimbalzare tra il panorama che si intravedeva attraverso il vetro del finestrino e il pregiato vetro zaffiro che ricopriva il quadrante dell’orologio.
Si accorse che erano quasi arrivati quando percepì il ciottolato sotto le ruote dell’automobile. Ad un certo punto l’auto si fermò davanti a un malandato cancello in legno. Il maggiordomo riconobbe la destinazione indicatagli dal padrone proprio da quel dettaglio. Uscì dall’auto per andare ad aprire la portiera posteriore.
Lui scese con tranquillità, il maggiordomo non lo aveva mai visto compiere quell’azione con così tanta calma.
Appena sceso chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
Rimase lì fermo per qualche istante, il maggiordomo si trovava a disagio per via dell’insolito comportamento del padrone, glielo si leggeva in viso: aveva gli occhi sgranati e continuava a muovere frettolosamente lo sguardo come in cerca di una chiave per sbloccare quell’assurda situazione, corrugando la fronte, il tutto nella compostezza tipica di tutti i maggiordomi, immobile come una statua.
Non appena egli s’incamminò il maggiordomo prese le valige e lo seguì, ancora vagamente spaesato.
Qualche centinaio di metri dopo il cancello in legno si trovarono davanti a una casa molto piccola ed essenziale, anch’essa in legno, e in riva al lago.
Un piccolo molo la completava, ma non vi era nessuna imbarcazione attraccata ad esso, nemmeno una piccola barchetta.
Entrati in casa il maggiordomo notò subito il minimalismo che regnava nell’abitazione.
Il padrone prese due sedie e le portò nella veranda che guardava verso il lago.
Questa iniziativa aveva spiazzato il maggiordomo, che però si stava abituando allo stato d’animo di quella strana giornata.
Sull’uscio il padrone lo invitò ad unirsi a lui in veranda.
“Vieni!”, disse mentre si appoggiava lentamente una sigaretta alle labbra.
Il maggiordomo si avvicinò con esitazione e conquistato dalla confusione intervenne: “Signore, mi perdoni la domanda intrusiva, ma perché ci troviamo in questo posto?”.
Egli distolse lo sguardo, accese la sigaretta, si sedette sulla sedia di sinistra, fece un lungo e lento tiro, e poi rispose:
“Non importa, siedi, e lascia che la tua mente si svuoti di fronte alla natura”.
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