Album The New Toronto 3 – Tory Lanez

Recensione di Jacopo Stefani

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Copertina album The Next Toronto 3 di Tory Lanez
Copertina dell’album di Tory Lanez, The New Toronto 3

Ascoltando la musica di Tory Lanez, a più di uno (sfortunato) classicista come me sarà venuto in mente Giano, dio romano protettore dei nuovi inizi, famoso (si fa per dire) per le sue due teste indicanti due direzioni differenti. La metafora, per quanto strana, è quanto mai calzante nel caso di Tory: se, da un lato, abbiamo le forti sonorità musicali e R&B che caratterizzano, ad esempio, il suo precedente album “Chixtape 5”, dall’altro l’artista canadese ha più volte dimostrato di non tirarsi indietro quando si tratta di spittare rime in pieno stile e aggressività Hip Hop, soprattutto nei numerosi beef che ha avuto nel corso della sua carriera (e sì, prima che ve lo chiediate, sono assolutamente convinto che abbia sotterrato Joyner Lucas, e per sotterrare il presunto figlioccio artistico di un certo Slim Shady servono belle vagonate di flow e barre). 

Il terzo capitolo della saga di mixtape “The New Toronto”, nonché il primo ad essere rilasciato come album, rientra in uno spettro di sound più vicino all’Hip Hop; eppure, già ad un primo ascolto delle 16 tracce che lo compongono, si ha la sensazione che il disco non si limiti a una prova di tecnicismo e di abilità, ma rappresenti il tanto agognato traguardo della maturità e completezza artistica che, nonostante numerose hit e un conclamato successo in America e oltre, era finora mancato nella carriera di Tory, troppo spesso quasi forzato a trovare un equilibrio difficilissimo tra voce vellutata, variazioni metriche e messaggio complessivo nei testi.

Già dalla copertina, che lo raffigura abbracciato a sua figlia, Tory lancia forte e chiara la sua dichiarazione di intenti: ormai è un uomo fatto e finito, con un vissuto personale non facile alle spalle (pochi sanno che a 15 anni si ritrovò a vivere per strada, e successivamente in una casa comune con 4 persone che non conosceva), e che ora può finalmente riflettere su tutte le sventure della vita passata a bordo di una Rolls Royce, mentre si dirige verso un altro concerto sold out.

La grande varietà stilistica del disco riflette bene la dualità tra i fantasmi del passato (riferimento ai brani “P.A.I.N” e “Dope Boy’s Diary”) e il lusso del presente (“Stupid Again” e “Do The Most”): e proprio questa contrapposizione continua tra due emisferi così lontani da trasmettere l’idea che sì, forse Tory ha avuto una vita difficile, ma sono state proprio tutte quelle difficoltà ad aver reso ancora più dolce il successo, plasmando la persona che è ora. Le due anime, così diverse eppure così simili, collidono alla perfezione nella stupenda “Letter to the City 2”, dove l’artista ripercorre il suo viaggio da senzatetto per le strade di Toronto al primo contratto discografico su un beat dal forte sapore East Coast.

Il racconto a cuore aperto di Tory viene quindi accompagnato da banger più spacconi come “Broke in a Minute” e “D.N.D” (per i fan dell’NBA, stupenda la citazione a Vince Carter, icona dei Toronto Raptors), che lasciano respirare l’ascoltatore senza, tuttavia, snaturare di una virgola il messaggio complessivo del disco. Lo stesso fanno i featuring, giustamente ridotti all’osso in un progetto così personale: il giovane talento di Brooklyn Lil Tjay ci regala uno sfoggio di musicalità e flow in “Accidents Happens”, mentre il cantante californiano Mansa (con cui Tory aveva già collaborato) contribuisce in “10 F*CKS” a una delle poche, ma buonissime, sfumature R&B del disco, assieme a “Penthouse Red”.

Che Tory fosse un talento indiscutibile non è certo cosa scoperta oggi: “The New Toronto 3”, tuttavia, ha permesso all’artista canadese di incastrare l’ultimo tassello mancante della sua carriera e di conciliare, finalmente, la sua stupenda voce ed un flow invidiabile con una maturità artistica solida. E questo non può che dirci forte e chiaro una cosa sola: Tory si è preso un posto ai piani alti della scena, e auguri a chi proverà a smuoverlo da lì. 


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