Musica e Religione

Articolo di Matteo Scantamburlo

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Nel corso della storia la religione è sempre stata una componente fondamentale nella vita dell’uomo,

rivelandosi spesso la principale forza ispiratrice tanto nelle sue opere più alte come l’arte, nella quale la tematica religiosa è stata, pur nelle sue diverse interpretazioni, un’assoluta costante attraverso i secoli, quanto in quelle più tragiche come le guerre, nelle quali tanto nel passato quanto nel presente si sono visti schieramenti combattere tra di loro in nome di un credo.

In questo articolo tuttavia ci si concentrerà maggiormente sui frutti positivi dell’ispirazione religiosa,

e tra le espressioni in cui questa ha spesso avuto e continua ad avere un’importanza ragguardevole non si può non citare la musica, arte in cui la vicinanza al divino degli autori ha contribuito alla creazione di opere grandiose tanto nella tradizione classica (lavori come la Passione secondo Matteo di Bach o come il Requiem di Mozart sono solo due degli innumerevoli esempi illustri) quanto nella contemporaneità, nella quale la tematica sacra, soprattutto nell’interpretazione cristiana, ha attraversato con costanza i generi più disparati, dando vita anche a veri e propri album spirituali.

Esempio iconico di ciò è A Love Supreme di John Coltrane, ritenuto unanimemente una delle pietre miliari del jazz e della musica contemporanea in generale,

un album descritto dall’autore stesso come un’offerta a Dio e che con le sue quattro parti rappresenta il cammino spirituale del sassofonista, articolato in Acknowledgement (“ammissione” o “presa di coscienza”), Resolution (“risoluzione” o “decisione”), Pursuance (“perseguimento”) e Psalm (“salmo”), sezioni che vanno a comporre un’unica suite, pensata da Coltrane con lo scopo di ringraziare Dio per avergli conferito il suo talento musicale e di mostrare alla gente il divino proprio tramite la musica.

John Coltrane

Dal punto di vista strutturale le quattro parti seguono tutte uno schema di tensione crescente che poi si scioglie distesamente nel finale e sono caratterizzate da grande teatralità e a tratti da una certa malinconia,

soprattutto nell’ultimo brano, Psalm, suonato seguendo le parole di una poesia scritta dallo stesso Coltrane in un flusso di note ininterrotto, scelta che simboleggia bene il clima di improvvisazione e ispirazione nel quale avvenne la registrazione dell’album, per la quale il sassofonista scrisse solo poche bozze senza dare ai musicisti con cui suonava della musica scritta, ma confidando nell’affiatamento ormai consolidato del quartetto, che effettivamente riuscì a concludere il lavoro in una sola sessione.

Proprio quest’unica registrazione contribuisce a rendere il disco un’opera a tutto tondo,

caratteristica che può portare a individuarlo come uno dei primi concept album della musica moderna e spiega uno dei motivi della sua enorme influenza, che non si limita solo all’ambito musicale, dove pure è notevolissima per la moltitudine di generi che questa arriva a toccare, ma si estende alla storia culturale americana in generale, dato che il manoscritto originale di A Love Supreme è custodito al National Museum of American History e a San Francisco è stata addirittura creata una chiesa che basa le sue funzioni sulla musica dell’album, istituzione che sembra quasi realizzare la missione che Coltrane intendeva compiere con il suo capolavoro.

Se l’ispirazione religiosa di Coltrane fu presente nella sua musica solo nei suoi ultimi lavori, essa fu una costante fin dagli esordi per un altro grande artista dell’epoca,

Leonard Cohen, che fin dal suo primo disco fece sempre larghissimo uso di tale tematica nel corso della sua carriera, dimostrando una straordinaria capacità nell’adattare ai temi trattati nelle sue canzoni riferimenti biblici e alla religione in generale, come ad esempio nella celebre Suzanne, nella quale l’omonima donna, descritta come figura guida e come oggetto di un amore platonico e ultraterreno (“For you’ve touched her perfect body with your mind”), viene posta in parallelo alla figura di Gesù, rappresentato invece nel suo momento di massima vicinanza all’uomo, ma comunque fonte di conforto e di speranza per l’anonimo amante di Suzanne (“But he himself was broken, long before the sky would open, forsaken, almost human, he sank beneath your wisdom like a stone”).

Leonard Cohen

L’elemento religioso è ben presente anche nel disco Songs of Love and Hate, soprattutto in Last Year’s Man,

brano in cui Cohen immagina uno sfondo apocalittico che fa da cornice agli elaborati riferimenti biblici con i quali viene affrontata la tematica chiave del disco, la dicotomia tra amore e odio, tra integrità e peccato, poli opposti di cui il narratore sembra farsi portatore con il suo coinvolgimento nel matrimonio tra “lo sposo Betlemme” e “la sposa Babilonia”, l’uno simbolo di fertilità e nascita cristiana e l’altra di superbia e corruzione, e con l’incarnazione in sé tanto dell’amore di Gesù quanto della violenza di Caino, dualismo che in realtà sembra portare l’autore a non identificarsi con nessuno dei due ma piuttosto con un uomo in missione come Abramo (“Some woman wait for Jesus, and some women wait for Cain, so I hang upon my altar and I hoist my axe again”).

Nel complesso il brano appare molto più oscuro e incerto rispetto a Suzanne,

ma ancora più difficile appare l’interpretazione della canzone più famosa del cantautore canadese, la celebre Hallelujah, nella quale non è chiaro quale sia il soggetto a cui Cohen si rivolga, se Dio, una donna amata o entrambi, ambiguità intensificata dai frequentissimi cambi di strofe che l’autore operava nelle versioni live, a dimostrazione di come a una versione che considerasse completa forse Leonard non ci sia mai giunto, anche perché, come da lui dichiarato, per questo brano erano state scritte più di 80 strofe in origine.

Risulta dunque molto complicato attribuire un significato preciso al brano,

che sicuramente presenta riferimenti biblici, come nella frase di apertura, che narra la capacità di Davide di scacciare i tormenti di Saul suonando l’arpa, o nella seconda strofa, in cui lo stesso Davide vede Betsebea che fa il bagno, episodio con il quale Cohen introduce l’elemento erotico che sarà ripreso in seguito, sempre accompagnandolo al quello religioso; effettivamente, pur nella sua varietà di interpretazioni, il nucleo del brano sta, ancora una volta, proprio nell’intreccio delle due tematiche, nel quale Cohen mostra nuovamente la sua maestria nell’impreziosire di significato sacro tutti i temi da lui toccati, caratteristica emblematica della rivoluzione portata da questo autore alla figura del cantautore, nel suo caso più che mai vicina a quella del poeta.

L’ispirazione religiosa è propria poi anche di uno dei maggiori cantautori contemporanei,

Sufjan Stevens, che affronta la materia in maniera assolutamente particolare nel suo quinto disco, l’acclamato Illinois del 2005, denso concept album in cui la rievocazione di personaggi storici ed eventi segnanti dello stato americano si accompagna di pari passo alle riflessioni personali dell’autore, il più delle volte a sfondo religioso, ricorrente ad esempio è il contrasto tra aspirazione alla perfezione religiosa e tendenza umana al peccato, antitesi nella quale si intravede anche il grande dilemma interiore dell’autore, diviso tra la sua fede cristiana e il suo orientamento sessuale queer.

Questa contraddizione è espressa straordinariamente in John Wayne Gacy Jr., in cui Sufjan racconta la storia di un criminale di Chicago,

colpevole dello stupro e dell’omicidio di 33 bambini, descrivendolo come una persona all’apparenza assolutamente cortese e amabile, volendo mostrare come anche il più normale degli uomini possa arrivare a compiere i peggiori delitti per via della natura peccaminosa dell’essere umano, della quale l’autore stesso si fa portatore nella toccante frase di chiusura (“And in my best behavior I am really just like him, Look beneath the floorboards for the secrets I have hid”) in cui si paragona a Gacy e parla, alludendo alla sua sessualità, di “segreti” nascosti sotto le “assi del pavimento”, lo stesso luogo in cui il killer aveva occultato i corpi dei bambini uccisi. Anche in Casimir Pulaski Day la chiave di lettura del pezzo è offerta dai versi finali: nel brano Stevens esprime i suoi dubbi religiosi in seguito alla morte in giovane età di una sua amica d’infanzia, chiedendosi come un Dio onnipotente possa permettere una cosa del genere, e nella frase conclusiva della canzone manifesta la sua incertezza con la ripetizione del verbo take, a cui vengono affidati diversi significati in ognuno dei tre versi in cui compare, andando a sottolineare nel primo il sacrificio fatto da Gesù per salvare il genere umano, nel secondo lo sconvolgimento provocato nell’autore dalla morte della ragazza e nel terzo il fatto che Dio oltre a dare “prenda, prenda e prenda” (“All the glory when He took our place, but He took my shoulder and he shook my face, and he takes, and he takes and he takes”).

Surfjan Stevens

In questa splendida riflessione si condensano simultaneamente la fede e l’incertezza del cantante,

che però si riappacifica con la sua religione in una delle ultime canzoni dell’album, The Seer’s Tower, in cui immagina di scrutare l’Apocalisse da una torre di sette miglia, marcando il suo allontanamento dalla Terra peccatrice e il suo avvicinamento al divino (“Oh my mother, she betrayed us, but my father loved and bathed us”), connessione che tuttavia rimane puramente personale e interiore, poiché anche Sufjan è destinato, come tutti gli umani, a morire e dunque a passare dall’altezza della torre divina alla profondità della tomba terrestre (“Still I go to the deepest grave, where i go to sleep alone”).

Illinois è ovviamente solo uno dei tanti progetti a ispirazione religiosa del cantautore, anche se tale tematica con l’avanzare della sua carriera è diventato sempre meno centrale,

mentre il percorso inverso sembra averlo seguito un altro degli artisti più importanti del ventunesimo secolo, Kanye West, che sì già con uno dei suoi primissimi singoli, Jesus Walks, aveva creato scalpore portando al successo un brano contenente una dichiarazione di fede così chiara, che certo in I Am a God (contenuta per altro in un disco chiamato Yeezus) aveva preso proprio l’Altissimo come termine di paragone per il suo mai nascosto egocentrismo, inserendo peraltro lo stesso Dio tra i collaboratori della canzone, ma che negli ultimi anni è diventato quasi un musicista religioso a tutti gli effetti con l’uscita degli album Jesus Is King, progetto di Christian hip-hop puro, e Donda, in cui sono contenuti alcuni dei suoi brani di maggiore carica spirituale.

La direzione intrapresa in questa fase della carriera da Kanye risulta oggi l’esempio più lampante di come,

anche in un mondo che sembra star (finalmente) diventando sempre meno legato ai valori tradizionali e alla religione in generale, questa risulti ancora una fonte di ispirazione fortissima per i maggiori artisti contemporanei. 


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