Recensione di Lorenzo Mottinelli
TEMPO DI LETTURA 7 MIN.
A chi frequenta abitualmente il panorama Netflix, e più in generale quello del cinema italiano,
sarà certamente capitato di imbattersi nella locandina del nuovo film di Sydney Sibilia: “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”.
La pellicola, prodotta da Matteo Rovere, narra una vicenda realmente accaduta tra il 1968 e il 1969 in Italia. Il protagonista di questa vicenda è Giorgio Rosa, un ingegnere che, nel biennio 1968-1969, costruisce un’isola a 6,27 miglia nautiche (11,61 chilometri) dalle coste di Rimini, appena 500 metri al di fuori del confine delle acque territoriali italiane, con l’intento, a detta del film, di fondare uno Stato indipendente.
Giorgio Rosa viene dipinto come un personaggio stravagante e fuori dagli schemi.
In una delle scene iniziali del film decide di dare un passaggio alla sua ex fidanzata, Gabriella, con l’automobile da lui costruita per la sua tesi di laurea. Dopo pochi minuti però i due vengono fermati e arrestati dalla polizia perché il veicolo era sprovvisto della targa e, inoltre, alla richiesta degli agenti di esibire patente e libretto, Giorgio risponde che “avendola costruita la macchina, per lo stesso principio della targa”, non ha nemmeno la patente. Tra atteggiamenti insoliti e bizzarri apprendiamo anche un altro aspetto riguardo a Giorgio Rosa: la sua insaziabile sete di libertà. Egli sogna di potersi realizzare senza dover sottostare a qualche struttura sociale preesistente.
In questo senso si può evidenziare un’assonanza tra il Giorgo Rosa di Sibilia e le idee dei giovani di quegli anni,
caratterizzate da una grande insofferenza per la rigida struttura sociale ed espresse nei movimenti giovanili e studenteschi di quel periodo.
Già dopo pochi minuti dall’inizio del film vediamo Giorgio intento a realizzare il suo grandioso e ambizioso progetto di costruzione di un’isola in mezzo al mare, sostanzialmente una piattaforma da collocare fuori dalle acque territoriali per evitare la giurisdizione dello Stato italiano e per avere finalmente uno spazio libero in cui vivere.
Tuttavia nel film non è del tutto chiara la motivazione che spinge Rosa a un tale progetto: da una parte, anche se in modo velato e quasi sottotono, egli insegue l’ideale di libertà che lo ha sempre ispirato; dall’altra, più enfatizzata, sembra rispondere alle provocazioni di Gabriella, che lo ritiene “troppo pericoloso” per essere frequentato, riferendosi all’episodio dell’automobile. A sostenere questa ipotesi vi è anche uno scambio di battute tra i due, che si potrebbe identificare come il momento da cui è scaturita l’idea di Giorgio di costruire un’isola.
Nella scena immediatamente successiva al contrattempo dell’automobile, infatti, Gabriella si rivolge a Giorgio dicendo che “vive in un mondo tutto suo, ma il mondo non è tutto suo”, e la risposta di Giorgio in questo frangente è molto significativa: “allora forse dovrei costruirlo un mondo tutto mio”.
Da questo momento in poi il film procede in modo piuttosto scorrevole.
Lo spettatore è indubbiamente affascinato dalla figura fuori dagli schemi del protagonista e allo stesso tempo segue con una leggera suspense di sottofondo i rapporti tra Giorgio, il governo italiano e gli enti europei ai quali egli si appella per fondare il suo Stato Indipendente.
Il film si conclude con l’invasione e la distruzione da parte del governo italiano dell’isola, e, al termine dell’ultima scena, compaiono alcune righe di testo, corredate da diverse fotografie dell’isola, per informare lo spettatore di come si è conclusa la vicenda.
Nonostante la storia sia indubbiamente avvincente e i personaggi attraenti, tuttavia vi sono diverse criticità che è giusto evidenziare in merito a questa produzione.
Il film ha la pretesa di rievocare una vicenda storica. Questo è ulteriormente confermato dalla consulenza storica di Walter Veltroni dichiarata nei titoli di coda, eppure di storico, nel film, rimangono solo le linee generali della vicenda, mentre diversi dettagli sono stati omessi e altrettanti in parte travisati.
Il primo punto debole in assoluto sono i riferimenti temporali:
insufficienti e non in grado di restituire la realtà dei fatti.
Dalle poche informazioni che oggi abbiamo di Giorgio Rosa risulta che egli si laureò nel 1950, iniziò a progettare l’isola nel 1958, iniziò a costruirla nel 1966, e la ultimò nel 1968. Di tutto questo processo nel film non vi è il minimo accenno, neanche una banale scritta in sovraimpressione: ciò sminuisce quella che fu effettivamente l’opera di Giorgio Rosa.
In secondo luogo è la narrazione a peccare di alcune lacune: risulta infatti semplificata e idealizzata rispetto alla vicenda reale, come se fosse più orientata a creare una storia romanzata piuttosto che una vera ricostruzione storica. Questo non è un dettaglio di poco conto visto che il film viene presentato come “film basato su storie vere”.
Ricercando in rete è possibile rinvenire alcune interviste a Giorgio Rosa, in cui l’ingegnere bolognese rievoca alcuni frammenti della storia della sua isola.
È interessante notare come egli afferma di non essere affatto partito dall’idea di fondare uno Stato indipendente,
come invece appare nel film, ma, al contrario, come volesse sfruttare le acque al di fuori dei confini territoriali per creare una piattaforma, utilizzando tecnologie simili a quelle impiegate per le piattaforme petrolifere, su cui avviare un’attività commerciale senza dover pagare i costi delle tasse o della burocrazia dello Stato italiano. Seguendo la narrazione dello stesso Giorgio Rosa, apprendiamo che una volta inaugurata, però, l’isola delle Rose iniziò ad attirare l’attenzione delle autorità, che tutto avrebbe permesso fuorché la possibilità di creare un luogo esente dalla propria giurisdizione e quindi fuori dal controllo statale, oltretutto in prossimità del proprio territorio.
Inoltre, in un’intervista a SanMarino World, Giorgio Rosa afferma che secondo lui l’azione di invasione dello Stato italiano era ricollegabile a motivi religiosi. In quel periodo al governo c’era la Democrazia cristiana, che in effetti avrebbe potuto essere spaventata dall’idea di un’isola vicino al suo Stato su cui non vigeva alcuna legge o regola.
Fu solo quando lo Stato italiano iniziò prendere posizione contro la presenza dell’isola, che Giorgio Rosa decise di fondare uno Stato indipendente, così da non avere problemi con le autorità. L’Isola delle Rose adottò l’esperanto come lingua ufficiale, suscitando tra l’altro anche l’entusiasmo dei gruppi esperantisti che in quel periodo esistevano nei pressi di Rimini, e venne redatta una Costituzione.
Purtroppo questo passaggio da ”piattaforma non identificata” a vero e proprio Stato indipendente,
che sembra quasi un atto di ripicca da parte di Giorgio, diede la possibilità allo Stato italiano di invadere l’isola e dismetterla, secondo le regole del gioco politico internazionale, in cui, nostro malgrado, ancora oggi la guerra rimane un metodo di risoluzione dei conflitti.
Tornando al film, probabilmente avrebbe reso di più una restituzione affidabile della vicenda reale. In questo modo, invece, quando in futuro si ricorderà la vicenda dell’Isola delle Rose, l’unica eredità rimasta sarà una pellicola più vicina all’ideale di una storia romanzata e, sotto alcuni punti di vista, commerciale, piuttosto che il sincero racconto di una vicenda storica.
Puoi trovare gli articoli precedenti in fondo alla pagina Home.
Seguici sui social! Instagram, Facebook
Resta aggiornato su tutte le nostre pubblicazioni! Iscriviti alla newsletter!
Lascia un commento