Recensione di Lorenzo Mottinelli
TEMPO DI LETTURA 4 MIN.
Lo scorrere del tempo è inevitabile.
La vita può anche essere definita come una successione di eventi scanditi da questa misteriosa dimensione.
In realtà, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, il tempo è solo apparente. Si può considerare quindi solo una convenzione dell’uomo, che talvolta può rasentare la fissazione, quella di esprimerne lo scorrere come una verità fondamentale.
Ma dopotutto è comprensibile che l’uomo senta la necessità di organizzare la propria esistenza, perché la sua parte razionale sente il bisogno di misurare quello che accade.
A questa convinzione inoltre si aggiunge un’angosciosa consapevolezza. L’uomo infatti sa, o ritiene di sapere, che la parte finale della vita, ossia la vecchiaia, è la peggiore, e ciò lo porta a vivere nell’inesorabile nostalgia di un “più bel tempo” ormai alle spalle.
E se invece questa visione venisse completamente ribaltata?
Cosa accadrebbe se dovessimo vivere prima la nostra vecchiaia e man mano ringiovanire fino a spegnerci in un ultimo sospiro da neonati?
Nel 1922 Francis Scott Fitzgerald pubblica Il curioso caso di Benjamin Button, un racconto breve in cui è narrata la storia di un uomo nato vecchio che ringiovanisce col passare degli anni. In realtà l’idea di F. S. Fitzgerald non è del tutto originale: lo scrittore statunitense ha guardato alle opere di due suoi predecessori: Samuel Butler e Mark Twain.
Nel 1994 la Maryland Film Office opziona i diritti del manoscritto per poterne realizzare una pellicola.
Passano sei anni senza che nessun film venga prodotto, così nel 2000 la Paramount Pictures acquista i diritti del racconto, ma la registrazione è ritardata fino ad arrivare ad un accordo di co-finanziamento tra Warner Bros. Pictures e Paramount Pictures, a seguito del quale nel 2005 viene assunto il regista David Fincher, che finalmente ha potuto svolgere le riprese.
Il film intreccia più filoni e temi, sebbene il cuore pulsante della pellicola sia la storia di Benjamin Button, permeata da una continua riflessione sul tempo e sul senso della vita, e articolata su piani narrativi differenti.
La prima scena è ambientata nel presente, in una camera d’ospedale dove Daisy, una signora anziana ormai in fin di vita sul letto dell’ospedale, racconta alla figlia Caroline la storia di un orologiaio cieco, il cui figlio si arruolò durante la prima guerra mondiale e morì in battaglia. In quel periodo all’orologiaio era stata commissionata la costruzione dell’orologio di una stazione ferroviaria, che egli realizzò con grande maestria.
Arrivò il giorno dell’inaugurazione, a cui assistette anche il padre di Daisy. Una volta mostrato l’orologio ci si accorse che il meccanismo che animava le lancette le faceva muovere al contrario. L’orologiaio disse che non si trattava di un errore di fabbricazione, ma che il movimento era stato volutamente studiato in quel modo, poiché egli sperava che così si potessero idealmente riportare a casa tutti coloro che avevano perso la vita durante la guerra, compreso suo figlio.
L’orologio non venne modificato e del suo costruttore non vi furono più notizie.
La scena del film torna poi alla stanza dell’ospedale.
Terminato il racconto, l’anziana Daisy indica a Caroline la sua valigia e un taccuino al suo interno, e la esorta a leggerne il contenuto. Daisy desidera che i suoi ultimi attimi di vita siano accompagnati dalla voce della figlia.
Sul taccuino è presente un diario, che racconta la storia di un uomo, un certo Benjamin Button.
Ha così inizio un lungo flashback che porta lo spettatore indietro nel tempo fino al lontano 11 novembre 1918, giorno della fine della Grande Guerra, ma anche il giorno in cui nacque Benjamin Button.
Nei primi dieci minuti di film vengono quindi presentati tre tempi di narrazione diversi, ma dopo il disorientamento iniziale, più che naturale, ci si abitua immediatamente alla voce di Benjamin Button che sostituisce quella di Caroline nel prosieguo della narrazione.
Il tempo è probabilmente il miglior amico dello spettatore in questo film, lo accompagna in ogni scena, e più volte viene richiamata l’idea che scorra all’indietro, questione di grande importanza e di riflessione per Benjamin e lo spettatore. All’inizio, ad esempio, la storia dell’orologiaio è un evidente richiamo a questa inusuale dimensione temporale, che ritroviamo anche alla fine della pellicola, quando nel 2002 l’orologio viene sostituito, ma continua a segnare il tempo che scorre all’indietro dalla cantina in cui è stato archiviato. Nel mezzo del film, invece, più volte si nota la presenza di un animale particolare, il colibrì, conosciuto per la sua capacità unica tra i volatili di volare all’indietro.
La riflessione esistenziale si condensa nell’intensa solitudine, non superficialmente e immediatamente evidente, del protagonista, che verso la metà della sua insolita vita afferma:
While everybody else was aging, I was getting younger, all alone.
Nonostante stringa relazioni di amicizia e sentimentali anche profonde, questa consapevolezza influenza il suo modo di vivere. Lui si accorge di vivere le stesse esperienze di tutti, ma da una prospettiva totalmente diversa.
Il culmine arriva quando nasce sua figlia,
e lui si rende conto che non potrà essere per lei una figura paterna adeguata se continua a ringiovanire.
In un punto del film, mentre guarda la figlia, rivolge queste parole alla compagna:
You’re gonna have to find a real father for her… she needs a father, not a playmate…
Benjamin abbandona tutto, lascia i suoi soldi e i suoi beni alla famiglia e parte. Qui gli scenografi Donald Graham Burt e Victor J. Zolfo ci rendono uditori di un profondo monologo di Benjamin sulla vita, riassumibile con queste parole:
For what it’s worth, it’s never too late or, in my case, too early, to be whoever you wanna be. There’s no time limit. Start whenever you want. […] I hope you live a life you’re proud of. And if you find that you’re not, I hope you have the strength to start all over again.
Il curioso caso di Benjamin Button è un dramma filosofico-sentimentale straordinario, quasi magico, capace di coinvolgere lo spettatore al punto tale da lasciarlo con il nodo alla gola anche dopo la prima visione, e di offrirgli sempre l’opportunità di conoscere nuovi particolari e raggiungere nuove comprensioni.
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