Cera colante

Racconto di Carlo Danelon

TEMPO DI LETTURA 4. 30 MIN.

Cera colante è un esercizio di stile in cui l’autore si è imposto di scrivere un intero racconto con parole inizianti esclusivamente per “c” e “q”. Un virtuosismo tecnico che vi consigliamo di leggere a cuore leggero.


“Quando chiunque crescesse qui cercava con cruente caccie cacciagione cruda con cui cibarsi,

correvo con Ciacco calcando queste candide campagne collinari, questi cari colli campestri. Correvamo, cantavamo contenti, conversavamo circa questioni concernenti certe qualità caratteriali che caratterizzano questo contesto contadino: congenite con questa cultura campestre, ci colpivano.

Che cosa cercavamo con quei concetti ciecamente cittadini? Cercavamo qualche caduca certezza che collegasse quei contadini-cacciatori con quella coscienza cristologica che così convintamente come circensi che cavalcano cammelli ci consigliava qualche comunità cattolica contigua.

Ciò ci causava costrizione commista con certe coriacee certezze che caratterizzano comunemente collegiali che convivono come contubernali. Capimmo comunque che conoscere con certezza quella comunità costituiva cosa conveniente: chi ci convertiva con corpi contundenti, qualora capitasse che – caso, credevamo, quasi certo – considerassimo quelle credenze cristiane cosucce che ci causavano contentezza con concetti, costruzioni, cartigli che credevamo – condonateci questa caduta – costosissime cazzate?”.

“Che cosa comportò, quindi, quella conoscenza?”

“Che cosa comportò? Ciacco, quando camminavamo con cautela contemplando quel certo coro con cupola cassettonata, colpì col culo qualche candelabro crisoelefantino che colava cera”
“Caspita! Che calore!”
“Calore consimile commuterebbe qualsiasi corpo con cenere. Così con celerità Ciacco corse cercando qualcosa con cui calmare quel cotone che costituisce certi costosi completi. Correndo chiedeva: “Cielo, calaci qualche cestello con Champagne, che consuetudine combina con quella cosa chiara croccante che cenando Cristo chiamò “corpo”! Caldissima cera colante cuoce questo corpo concreto coperto con caldissimo cotone!”

“Caspita! Quale condannabile cafonaggine colgo! Confratelli?”

chiese corrucciato, camminando con compita cortesia, colui che chiamasi comunemente “cappellano”.
“Compagni!” corresse con coraggio Ciacco, che conoscevo comunista convinto.
“Che cosa? Contrappasso colpisca questa corrente che chiamate ‘comunismo’, cospiratori contro Cristo, copulanti conati, che costi caro quel costoso costrutto che chiamate ‘civiltà’!”

“Questa chiamate carità cristiana?” questuò caparbio Ciacco.

“Certo, colto cappellano, ci costi caro…” concedetti. “Comunque: come calmiamo questo calore cereo?”
“Con la carità che Cristo conferisce, caldeggio quel cencio color cremisi: compresso contro quei calzoni consumerà, coprendolo completamente come calotta, quel certo combustibile, combustibile che chiamiamo…” continuava chiosando con cattedratica conoscenza chimica, checché combinasse Ciacco, che correndo chiudeva quella curiosa conversazione.

“Quale conclusione colse questa contrarietà?”


“Ciacco cinse col cencio color cremisi quel calore crepitante. CO2 calò; comparve cinigia, cui conseguì quieta cenere. Così ci congedammo. 

Correvamo contenti, come corre qualunque compagnia concorde. Come qualsiasi creatura campestre, cicale corvi calabroni, cantasse quanto candida crescesse quella complicità”.


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